Le meraviglie della Meccanica Quantistica – V

Concludiamo con questo quinto e ultimo post il ciclo estivo sulla meccanica quantistica. Nei post precedenti abbiamo incontrato una serie di fenomeni del tutto inconsueti, nel primo post abbiamo condotto un esperimento che dimostra la natura probabilistica dei fenomeni fisici. Nel secondo abbiamo discusso dei postulati alla base dell’impostazione teorica della meccanica quantistica, che abbiamo verificato nel terzo post, dove abbiamo condotto un esperimento con i filtri polarizzatori. Infine, nel post scorso abbiamo  discusso dell’Interpretazione di Copenaghen e degli inevitabili paradossi che ne derivano.

Sappiamo, quindi, che al livello subatomico la materia giace in uno stato di sovrapposizione tra stati detti ortogonali, e che si comporta in modo probabilistico, cioé non necessariamente determinato. La domanda di Einstein a Bohr merita davvero tutta la nostra attenzione: se fosse vero tutto ciò, perché la Luna resta lì dov’è anche quando non la guardiamo ?

Per noi abitanti del mondo macroscopico è effettivamente difficile comprendere quanto “piccolo” sia il mondo subatomico. Un atomo ha dimensioni variabili tra i 30 ed i 600 picometri, dove un picometro è pari a un millimiliardesimo (10^-12) di metro. Per una curiosa coincidenza, il sistema solare ha una estensione di circa 12 mila miliardi di km, cioé di 12*10^12 metri.

Le dimensioni subatomiche sono davvero microscopiche: l’ordine di grandezza di un atomo si misura in picometri, unità dell’ordine di 10^-12 e il sistema solare in terametri, cioé 10^12, vuol dire che tanto infinitamente piccolo è un atomo, tanto grande è il sistema solare. I due ordini di grandezza sono l’uno il reciproco dell’altro. In un oggetto macroscopico avvengono, quindi, così tante interazioni che esternamente appaiono per il loro valore medio. Così come un oggetto ci appare caldo perché le molecole al suo interno si agitano con maggior velocità, e quindi energia, anche le altre grandezze fisiche come posizione e quantità di moto sono percepite esternamente come media delle posizioni e quantità di moto delle particelle che compongono l’oggetto. Il grafico mostra il valore medio di posizione <x> di un sistema complesso costituito da più particelle.

Vale a dire che se noi potessimo avvicinarci ad un oggetto qualsiasi, come una pesante sbarra di ferro che appare in una posizione precisa ed in uno stato di quiete, man mano inzieremmo a vedere una “nuvola” di particelle che si muove senza una collocazione precisa. E questa indeterminazione si accentua man mano che aumentiamo la precisione dell’osservazione.

Ne abbiamo già parlato in un post precedente, questo fatto è solo una delle conseguenze del Principio di Indeterminazione di Heisenberg:

è impossibile misurare contemporaneamente posizione e quantità di moto di una particella con precisione arbitraria

Secondo l’impostazione della meccanica quantistica, una osservazione restituisce sempre e solo valori relativi ad un oggetto puramente astratto, detto osservabile. Abbiamo detto che l’osservabile è un funzionale o un operatore matriciale e che i valori restituiti sono detti autovalori, ciascuno collegato al relativo autovettore, che rappresenta uno stato specifico del sistema. L’esatto significato del principio di indeterminazione di Heisenberg ha impatti ancor più drastici sulla realtà fisica, ciò che in realtà il principio afferma è che se due osservabili hanno autovalori incompatibili, cioè non è possibile determinare un autovalore che sia contemporaneamente soluzione del primo e del secondo osservabile, allora è impossibile osservare questa coppia di autovalori contemporaneamente e con precisione arbitraria.

Il significato dell’autovalore di un osservabile è esattamente quello di misurare un certo aspetto della realtà fisica microscopica, come ad esempio la posizione, la quantità di moto, l’energia e il tempo. Esistono quindi operatori -osservabili- che misurano tutte queste grandezze. Al livello macroscopico ciò che avvertiamo è il valore medio che, conti alla mano, coincide esattamente con il modello già fornito dalla fisica classica. In altri termini, sebbene posizione e quantità di moto non siano definite contemporanemente con precisione arbitraria, la loro media obbedisce esattamente alle leggi della fisica classica che già conosciamo.

E’ possibile identificare, quindi, una nutrita schiera di osservazioni mutuamente incompatibili, come ad esempio posizione e quantità di moto, energia e tempo, e così via. Quando osserviamo un fenomeno fisico, lo facciamo sempre applicando un osservabile, e se compiamo due misurazioni contemporaneamente, allora se non esistono autovalori che soddisfano contemporaneamente i due osservabili, la nostra osservazione è condannata ad essere imprecisa.

Il livello di imprecisione consentito, nel caso della quantità di moto e della posizione, è dato proprio da quel quanto minimo indivisibile sotto cui non è possibile scendere: la costante di Planck. Il valore fornito dalla costante di Planck è inderogabile, esattamente come avviene nel luogo comune della “coperta corta”: se vogliamo misurare con precisione la posizione, allora introduciamo imprecisione nella quantità di moto, e viceversa. Se vogliamo misurare con precisione il livello energetico del sistema, allora dobbiamo introdurre incertezza nella misurazione del tempo, e viceversa. E’ quanto afferma la versione formale del Principio di Indeterminazione:

il prodotto dell’incertezza di posizione e quantità di moto è almeno superiore alla costante di Planck divisa 4∏ (la costante h con la sbarretta è pari alla costante di Planck divisa 2∏).

Tra tutti gli osservabili, uno è veramente speciale: l’Hamiltoniano, misura l’energia. Lo dobbiamo a Sir William Rowan Hamilton, che lo applicò con successo per riformulare completamente la meccanica classica, arrivando a comprendere come l’evoluzione del sistema sia completamente determinabile proprio mediante l’operatore che porta il suo nome e che descrive il livello energetico complessivo del sistema. Hamilton scoprì, sempre in fisica classica, che l’operatore Hamiltoniano funge da generatore di qualsiasi trasformazione e consente di comprendere non solo la storia passata del sistema, ma tutta la storia futura.

Hamilton ebbe una intuizione talmente geniale che, sebbene sia nata in ambito classico, è perfettamente compatibile con l’impostazione della meccanica quantistica. Fu un personaggio eclettico che già conosciamo, Erwin Schroedinger, ad applicare con successo l’Hamiltoniano in meccanica quantistica. Era il 1926 e, da allora, il mondo non sarebbe stato più lo stesso:

l’umanità entra in possesso dell’Equazione di Schroedinger.

Senza entrare nel dettaglio matematico all’origine dell’equazione, chiaramente troppo complesso, ne commentiamo i termini. L’equazione descrive l’evoluzione dello stato del sistema, descritto dalla funzione d’onda ψ, postulando che la sua variazione nel tempo è generata da applicazioni successive dell’operatore Hamiltoniano H. Nell’equazione figura la costante di Planck e il numero immaginario i, torneremo in un post successivo sul significato dell’adozione del piano complesso in meccanica quantistica, con impatti davvero suggestivi.

Le conseguenze filosofiche di questa equazione sono sconcertanti. L’operatore Hamiltoniano ha la caratteristica di essere unitario, ovvero  di operare in regime isometrico. Il significato fisico di isometria è che le distanze vengono conservate, cioé che la trasformazione apportata dall’Hamiltoniano non altera le relazioni interne tra le entità che subiscono la trasformazione. Conseguenza diretta di questo fatto è che il sistema conserva l’informazione, cioé in ogni momento è possibile ricostruire lo stato di provenienza e quello di arrivo dell’intero sistema. E’ un fatto essenziale in fisica, di cui torneremo a parlare in un post successivo.

L’equazione di Hamilton stabilisce anche che il sistema varia “a passi”, cioé che evolve non in modo continuo, un pò come avviene nei moderni calcolatori in cui lo stato successivo è determinato da una unica istruzione eseguita dal microprocessore, a partire dai dati a disposizione che “fotografano”, per così dire, lo stato corrente. In meccanica quantistica la transizione allo stato successivo è letteralmente generata dall’operatore Hamiltoniano che, di passo in passo, a partire dallo stato delle singole particelle, genera l’evoluzione dell’intero sistema.

A Mercoledì prossimo, la programmazione di LidiMatematici riprenderà con la solita cadenza trisettimanale.

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7 risposte a Le meraviglie della Meccanica Quantistica – V

  1. giulia68 scrive:

    Grazie infinite per queste belle lezioni!! 🙂

    • lidimatematici scrive:

      Grazie a te, Giulia, senza il vostro feedback sarebbe davvero difficile continuare !

      • giulia68 scrive:

        Lo posso immaginare, Carlo..
        Però ricordati che io ti aspetto con altri capolavori come questo, neh? 🙂
        Adoro la fisica quantistica!.. e tutti i voli pindarici che essa ci permette di fare con la nostra fantasia! .. 😉
        Ancora grazie e buon lavoro, Carlo!!
        Un abbraccione!

  2. Andy SOE scrive:

    Non ci crederai, ma mi hai chiarito alcune cose che quando frequentavo Fisica (30 anni fa) non riuscivo a digerire…..Forse il problema risiedeva nell’inadeguatezza del docente, chissà….
    😉

    ciauz

  3. Pingback: Google Doodle dedicato ad Erwin Schroedinger | LidiMatematici

  4. Giuseppe Sambri scrive:

    Ho trovato questi articoli sulla meccanica quantistica molto interessanti.
    Vorrei comunque sapere se la sesta lezione è stata pubblicata perché non la trovo ed, in particolare, sono molto interessato al principio di conservazione dell’informazione.
    Grazie

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