Le termiti-robot di Harvard

termite

Non si sa se restare impressionati o compiaciuti da un video che sta circolando in internet: un gruppo di robot grande quanto una scarpa, dalla simpatica forma tipo Maggiolino tutto matto, si muove alacremente su un banco di laboratorio ad Harvard. Con curiose ruote uncinate, un pianale mobile tipo escavatrice e una serie di sensori e un piccolo microcontrollore a bordo, i robot sono in grado di arrampicarsi, afferrare, orientarsi, collaborare per realizzare costruzioni di vario genere. E’ davvero impressionante guardare questi maggiolini elettronici avvicendarsi a sollevare e depositare blocchi di costruzioni, fino alla realizzzione dell’intera struttura. Il tutto, chiaramente, senza la supervisione umana. Proprio come fanno le termiti.

E’ l’interessante risultato, parte del progetto TERMES dell’Università di Harvard, pubblicato nell’articolo Designing Collective Behavior in a Termite-Inspired Robot Construction Team, dei ricercatori  Justin WerfelKirstin Petersen, Radhika Nagpal. Scopo della ricerca è l’analisi dei sistemi complessi caratterizzati da molti componenti indipendenti, ciascuno specializzato in compiere azioni semplici e di basso livello che, collettivamente, producono risultati complessi e di alto livello. E’ una sfida, perché prevedere i risultati di alto livello ottenibili eseguendo azioni dettate da un insieme di regole semplici è un problema ancora aperto nella comunità scientifica. Nell’articolo si enfatizza come il problema inverso, cioé identificare regole di basso livello che diano risultati collettivi specifici, è ancor più complesso. Il team di ricercatori affronta questo tema presentando un sistema automizzato di costruzione ad agenti multipli- i robot – ispirato proprio alla comunità delle termiti e ai loro termitai -, in grado di realizzare costruzioni complesse eseguendo sistematicamente una grande quantità di azioni semplici, come appunto identificare i moduli, sollevarli, portarli al punto di destinazione e collocarli.

L’intervento umano non è del tutto assente, infatti è necessario specificare il modello matematico della costruzione che si vuole realizzare, come una torre o una piramide, ma è il sistema a generare automaticamente le regole di basso livello che guidano il comportamento dei robot alla produzione di tale struttura. I robot, a loro volta, dispongono di un sistema di sensori in grado di rilevare la posizione e, quindi, di coordinare le proprie attività in un ambiente condiviso.

A che servono? Justin Werfel dell’Università di Harvard ipotizza solamente un abbozzo di applicazione che, in effetti, fa venire i brividi: costruire in ambiente ostile alla vita umana, come ad esempio sott’acqua o su Marte. Una visione a lungo termine davvero entusiasmante, si pensi ad una squadra di robot in avanscoperta per realizzare strutture abitabili marziane.

Werfel attiva il suo piccolo sciame di robottini inviando un modello matematico della struttura da costruire, come ad esempio una piramide, e ogni robot utilizza questo modello per calcolare dove sarà posto il blocco successivo raccogliendo il materiale, spostandosi al punto giusto e depositando il blocco proseguendo il lavoro degli altri robot. I sensori adottati non sono neanche iper-sofisticati: rilevatori di ultrasuoni,  di infrarossi ed un accelerometro interno – una dotazione comparabile a quella di un moderno smartphone – consentono a ciascun robot di capire di quanti blocchi è salito in verticale e la propria posizione in relazione alla struttura in corso di costruzione.

E così, questo simpatico sciame di robot metà maggiolino e metà escavatore, che vanno in giro come fa il gatto di casa, con la coda alzata, è in grado di costruire alacremente modelli di piramidi, castelli e torri.

Neri Oxman del prestigioso Media Lab al MIT (il Massachusetts Institute of Technology), si occupa da tempo di temi legati alle realizzazioni architettoniche mediante robot, e guarda a questo lavoro come molto promettente. Secondo Oxman, la peculiarità di un risultato del genere sta nel dimostrare come sia possibile realizzare un sistema di costruzione automatico dove le decisioni vengono prese in modo decentrato, cioè dalle unità che realizzano in loco la costruzione, pur obbedendo ad un disegno generale.

Certo, si tratta di un lavoro accademico, dove i robot lavorano in un ambiente ristretto e controllato, ma dice Kirstin Petersen, del team che ha realizzato la ricerca, che questo è un primo passo verso l’utilizzo di robot semplici, economici, e sacrificabili, con cui si possono realizzare opere complesse in ambienti ostili.

In effetti, lo scenario apre propsettive interessanti.

-> Vai all’articolo su NewScientist

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