Intervista a Claudio Gerbino, autore di Sono Figli Vostri

Copertina-libro-GerbinoLa settimana scorsa abbiamo parlato del libro “Sono Figli Vostri“, di Claudio Gerbino. L’autore,  psicologo, psicoterapeuta e psicopedagogista, nonché direttore del Centro Interdisciplinare di Psicologia e Scienze dell’Educazione KOINÈ, con sede a Roma, si occupa da anni di problematiche individuali e familiari.  Esperto di psicologia del profondo,  di psicosomatica e dei temi inerenti alla costellazione familiare secondo la teoria di Walter Toman,  si occupa di comunicazione, con particolare attenzione agli aspetti psicopedagogici nella scuola e in famiglia.  Responsabile della formazione svolta dal Centro KOINÈ,  ha curato tutte le pubblicazioni edite dalla stessa casa editrice.

Sono Figli Vostri è un libro che tocca temi estremamente importanti, e lancia un monito a noi adulti, genitori, educatori e personaggi delle istituzioni che non può restare inascoltato. Il Dottor Gerbino ha cortesemente accettato di rispondere alle domande in una lunga intervista, dove tocca tutti i temi più caldi che impattano sui nostri ragazzi: dalle  mancanze della famiglia, alle difficoltà della scuola, alle ingerenze della religione, alle deliberate strategie della politica. Per chi volesse approfondire, il Dott. Gerbino sarà ad Albano, presso C.P.A. a Via Ascanio, 3, il 4 ottobre prossimo alle 16.30, per presentare e discutere “Sono Figli Vostri”.

Un intervista, che qui pubblichiamo integralmente, da non perdere e su cui riflettere con attenzione.

Il suo libro tocca tre aree tematiche: la politica, la scuola, la famiglia in relazione ai nostri ragazzi. Mentre scuola e famiglia impattano direttamente sui giovani, la politica ha un effetto più indiretto. Appare lampante il tema della contraddizione. Con una importante differenza: mentre la politica usa la contraddizione in termini di una smaccata disparità tra quanto viene detto, annunciato e quanto viene effettivamente portato nella vita pubblica con le azioni in concreto, al fine di  manipolare, mistificare la realtà a proprio vantaggio, la famiglia e la scuola subiscono invece le contraddizioni. Da un lato le famiglie che sulla carta desiderano il meglio per i propri figli salvo poi abdicare alla funzione fondamentale di partecipare all’educazione, dall’altro le scuole la cui missione dichiarata è di educare, per poi ripiegarsi sulla mera esecuzione dei programmi. La sua tesi è che questo stato di cose sia voluto, un progetto frutto di un lungo percorso. Quali strumenti hanno le famiglie per contrastare questa situazione?

Mi permetto di invertire l’ordine dei temi indicati nella domanda: famiglia – scuola – politica, e, aggiungo: società, che nell’attuale sistema, è governata dalla politica. Si tratta di tanti contesti, uno contiene l’altro, e quello che contiene tutti, la società più ampia, risponde alle direttive della politica, che dovrebbe orientare i cittadini e favorire la soddisfazione dei loro bisogni primari, tra cui la cultura e la conoscenza. Purtroppo in Italia manca una politica dell’educazione, come spiego nel mio libro; da qui, a cascata, tutti i drammi di cui siamo testimoni nella scuola e nella famiglia. I contesti di cui stiamo parlando sono interdipendenti, i rispettivi bisogni si sovrappongono, e se manca un orientamento generale (che dovrebbe venire da chi si occupa dei problemi dello Stato), tutto va a rotoli. Negli ultimi decenni, dei problemi dell’educazione e della formazione si sono occupate delle persone assolutamente incompetenti e inadeguate per il compito che dovevano svolgere; persone tutte dedite all’attuazione di un progetto strategico, partito da lontano, finalizzato a creare individui che non pensano e che non scelgono responsabilmente. Devo sottolineare un fatto: le prime vittime di questa strategia sono i genitori, anche loro suggestionati dalla comunicazione mistificatoria dei politici. Ne deriva che i modelli educativi messi in atto sono improntati all’apparire, non all’essere. Per cui, per rispondere alla domanda posta, i genitori devono per prima cosa diventare consapevoli che c’è un problema in atto, e che il problema va affrontato con la partecipazione attiva, e poi esercitando un controllo sulle istituzioni. Infine, i genitori devono impegnarsi a educare i propri figli, fin da quando sono piccoli, al senso di responsabilità, che non vuol dire repressione, ma imparare a riflettere sulle conseguenze dei propri comportamenti. Contrastare la situazione in atto? Per la disparità delle forze in campo, sembra impossibile; televisione e mass media, controllati da burattinai senza scrupoli, esercitano un potere di condizionamento molto più forte di quello dei genitori. E allora, è importante che i genitori controllino l’uso della TV e aiutino i figli a sviluppare il pensiero critico confrontandosi con gli adulti. Ci vuole molto tempo.

Negli anni 80 era la TV a fare da “baby sitter” per i nostri ragazzi. Oggi abbiamo Internet ed i videogiochi. Nel libro lei traccia un quadro decisamente preoccupante dell’uso dei social network e dei videogiochi, in particolare quelli violenti. Che consigli darebbe ai genitori riguardo a questo tema?

Mi riallaccio a quello che ho detto prima: abituare i figli a un uso corretto degli strumenti. Già dagli anni ’90 del secolo scorso alcuni studiosi, sulla base di rigorose ricerche, ci mettevano in guardia sulle conseguenze nefaste di una eccessiva esposizione alla TV e agli strumenti elettronici. Le ricerche degli anni successivi hanno messo in luce le modificazioni che avvengono nei sistemi cognitivi. Nel mio libro accenno a queste problematiche. Ma le modificazioni si hanno anche a livello emotivo-affettivo. Bambini e adolescenti, lasciati soli davanti allo strumento elettronico, non sono in grado di controllare le emozioni e gli affetti; non è un rischio, è un dato di realtà: individui che non sono in grado di esprimere il proprio stato d’animo o di comunicare le proprie emozioni, perché nessuno li ha guidati nella comprensione degli eventi e dell’impatto psicologico di quegli eventi. Consigli pratici? Portare i bambini all’aperto, o far fare giochi di gruppo; ma questo implica una maggiore presenza in casa dei genitori, che però corrono da mattina a sera per far quadrare i conti. È un circolo vizioso, ma arriva il momento in cui bisogna fare una gerarchia di scelte, senza colpevolizzare i genitori.

Secondo lei il grande assente è la figura del padre. Un padre completamente assorbito dal sistema produttivo o, semplicemente, inconsapevole del proprio ruolo e delle responsabilità che ne derivano. Che consigli darebbe ai padri di oggi, per recuperare? 

Farei una distinzione tra i padri che hanno più di 40 anni e la nuova generazione di padri, senza ovviamente voler generalizzare. Questi ultimi hanno una maggiore sensibilità educativa e sono più presenti nella vita dei figli. Parlo in senso generale, ma non tutti i nuovi padri si comportano in questo modo. Molti genitori, sia padri che madri, pensano di aiutare i propri figli ponendosi come “amici”. Prima erano le madri a privilegiare questo tipo di relazione; ora anche i padri. I genitori non sono amici dei figli, e non possono esserlo. Gli amici si scelgono e si possono anche abbandonare; i genitori non si scelgono. Specificamente per i padri: non debbono rinunciare alla loro funzione normativa, cioè devono impegnarsi a mettere le regole, a insegnare ai figli ciò che è bene e ciò che è male, accettare lo scontro dialettico, spiegando i motivi delle proprie scelte. I figli, soprattutto gli adolescenti, anche quando protestano e si ribellano (fase essenziale della loro crescita), hanno comunque bisogno di un orientamento nella vita. I padri non dimentichino che sono un modello per i figli: non basta dire o pretendere; è necessario prima di tutto fare, comportarsi con coerenza.

Nel suo libro pone grande attenzione alle parole, fornendone sempre una adeguata definizione, in controtendenza rispetto al costume corrente. Lei pone l’accento su come la consuetudine all’uso distorto dei termini possa effettivamente determinare un cambiamento culturale. Ritiene che siamo tornati indietro dal tempo di Don Milani, che lei pure cita, il quale sosteneva che “è necessario conoscere almeno 2000 parole per non farsi mai fregare”?

L’uso delle parole e il loro significato. Non credo di esagerare quando dico che l’attuale condizione è frutto di una strategia: chi è ignorante è più controllabile. È stato sempre così nella storia. Oggi ci troviamo in una condizione manipolata e mistificata. C’è un maggiore livello di istruzione, cui però non corrisponde un adeguato livello di cultura e di competenze. Le ultime ricerche, che cito nel mio libro, ci dicono che in Italia abbiamo circa il 30% di cittadini definiti “analfabeti funzionali”, cioè persone che sanno leggere, ma non sono in grado di comprendere il contenuto del testo letto, in più, non hanno gli strumenti per elaborare e scrivere un testo. Tutto ciò porta sudditanza e dipendenza; non abbiamo cittadini autonomi, ma semplici esecutori di istruzioni, spesso solo iconiche. Per rispondere alla domanda: non solo siamo tornati indietro, ma stiamo peggio, rispetto al tempo di Lorenzo Milani, da lei ricordato, perché all’epoca c’era la consapevolezza dei propri limiti e della mancata conoscenza del linguaggio e dell’istruzione in senso lato, e ciò comportava l’interesse e la spinta ad apprendere; oggi invece c’è l’arroganza dettata dal possesso di diplomi universitari o di scuola superiore, cui però non corrisponde un’adeguata competenza nell’uso del linguaggio e nella comunicazione. Chi si esprime usando poco più di cento parole, e non comprende quello che legge, non ha competenze nel comunicare, e quindi nel relazionarsi con gli altri. Nel mio libro faccio riferimento all’esperienza di Paulo Freire in Brasile (“La pedagogia degli oppressi”). Oggi nei Paesi industrializzati, e in Italia specialmente, abbiamo i nuovi oppressi e i nuovi schiavi, resi tali dalla manipolazione e dalla mistificazione di chi ha le leve del potere politico e finanziario. Un’adeguata politica dell’educazione dovrebbe iniziare proprio da un nuovo processo di alfabetizzazione.

Lei tocca anche il delicatissimo tasto dell’ingerenza della religione sulla legislazione dello stato. In questo blog abbiamo trattato più volte i temi inerenti alle cellule staminali, ma anche della scienza del XX secolo, praticamente cancellata dalla divulgazione scientifica moderna perché “fastidiosa”. Accade spesso che a trattare alcuni temi, come ad esempio lo stato della ricerca scientifica sulle staminali, siano proprio i blog scientifici, mentre l’informazione ufficiale sta a guardare. Esiste ancora la possibilità, secondo lei, di contribuire a creare consapevolezza della cultura scientifica, in un clima del genere? 

Nel mio libro faccio una distinzione tra sentimento religioso, che è un’esperienza personale, soggettiva, e la storicizzazione della religione, che crea istituzioni e apparati di potere. Ogni forma di educazione implica un condizionamento; anche l’educazione religiosa comporta necessariamente un condizionamento. Un conto, però, è inculcare nel bambino e nel giovane un senso di responsabilità personale e sociale, sulla base di principi e regole condivisi (tutto questo porta all’autonomia dell’individuo); altro conto è ingenerare uno stato permanente di “eteronomia”, cioè di dipendenza da decisioni altrui, pena il castigo. Quando questo modello viene imposto a intere popolazioni, in nome di un’autorità trascendente, non stiamo parlando più di sentimento religioso, ma di un potere esercitato dall’esterno in nome di una divinità, che prende diverse denominazioni in base alla cultura dominante. Se tale potere si fa Stato, ci troviamo in piena manipolazione e mistificazione. I bisogni fondamentali dei cittadini, di qualsiasi cultura e in qualsiasi angolo del mondo, non possono dipendere da tale potere, perché quei bisogni fanno parte dell’essere al mondo, dell’esistere come uomo e donna. Fatta questa premessa, distinguo i vari accadimenti. Tra i Paesi occidentali industrializzati, l’Italia è un caso a sé per la presenza sul territorio nazionale, specificamente a Roma, capitale dello Stato, di una istituzione ibrida, che per alcuni aspetti è uno Stato a sé stante, per altri aspetti rappresenta l’istituzione religiosa che guida più di un miliardo di cittadini sparsi in tutto il mondo. Non è un segreto che dalla costituzione della Repubblica Italiana i vari governi che si sono succeduti negli anni hanno subito un condizionamento diretto e indiretto delle autorità religiose: un potere che prevaleva su un altro potere in cambio di reciproci vantaggi. Un po’ di memoria storica ci illumina sui dettagli di tale condizionamento: sono stati costituiti governi con il beneplacito dell’istituzione religiosa, e sono caduti governi per volontà di tale istituzione. Molte leggi sono state bloccate per un tale intervento, altre sono state votate perché volute dall’istituzione religiosa (mi riferisco anche alla legge 40 sulla procreazione assistita, ma è solo un esempio). Se analizziamo la situazione presente nelle altre nazioni troviamo condizioni del tutto diverse. Riuscite a immaginare un’interferenza così massiccia della Chiesa di Roma sul parlamento e governo francese, tedesco, inglese o svedese? Il problema non riguarda solo la religione cattolica; è una caratteristica di ogni religione monoteista, che si propone come detentrice di verità. Seguendo la lezione del prof. Enzo Pace, nel mio libro ho parlato di regimi di verità, che nei secoli hanno scatenato guerre feroci, e che ancora oggi si impongono come “la Verità”, con le conseguenze che tutti abbiano sotto gli occhi. Qui la religione non c’entra più; si tratta di un bieco potere che non riconosce i bisogni degli individui e dei popoli. Per rispondere all’ultima parte della domanda, sottolineo un fatto: uno degli obiettivi fondamentali delle religioni, così come storicamente si sono organizzate, è quello di mantenere i fedeli nell’ignoranza, e quando tale obiettivo non è raggiunto arrivano gli anatemi e i massacri. La ricerca scientifica , che non si basa sul principio di verità, non può essere accettata tout court da chi parla di “principi non negoziabili”. Il bisogno di conoscenza è innato nell’essere vivente; nell’uomo assume la forma tipica della curiosità che spinge ad esplorare ambiti sconosciuti. La consapevolezza della superiorità del metodo scientifico, anche nell’ambito delle scienze umane, inizia a partire da un modello educativo già durante l’infanzia, modello che incoraggia la conoscenza, e non impedisce la curiosità; naturalmente nei modi adatti all’età del bambino. Dobbiamo al filosofo tedesco Karl Popper una profonda riflessione: il fatto che ogni legge empirica possa essere “falsificata”, cioè smentita, dall’esperienza, non vuol dire che la scienza sia vana, ma al contrario si tratta di un’impresa promettente. La scienza non cerca la verità, ma formula ipotesi per spiegare l’esistente. Tutto questo viene definito, in modo spregevole, relativismo. Un modello educativo adeguato deve basarsi sulla riflessione e sul senso del limite, deve basarsi non sulla ricerca della verità, ma sullo spostamento in avanti degli attuali limiti della conoscenza. Questa è l’unica possibilità che abbiamo.

Nel suo libro lei compie una rigorosa analisi delle schede somministrate ai ragazzi del liceo e lascia loro ampio spazio, senza filtri. Appare un quadro drammatico di incertezza non solo nel linguaggio, ma personale, molto affine alla paura. I ragazzi appaiono dispersi in una realtà priva di qualsiasi appiglio oggettivo, come potrebbe essere dato invece da una solida cultura scientifica. Eppure, in questi scritti è rarissimo trovare appassionati di materie scientifiche, a parte la biologia vista come “ripiego” della medicina. Che consigli darebbe a chi si occupa di divulgazione per stimolare l’interesse dei più giovani? 

Il consiglio è quello di non avere paura di esplorare territori, o ambiti, sconosciuti. I ragazzi a scuola appaiono disorientati non perché mancano appigli oggettivi, ma perché mancano di adeguati modelli che, durante l’adolescenza, sono fondamentali per costruire una adeguata identità e sviluppare una sana stima di sé. Nel mio libro ho parlato anche di “cattivi maestri”; mi riferisco a tutti coloro che parlano per teorie e principi astratti, per esempio nell’ambito della legalità, ma poi nella vita quotidiana hanno comportamenti da codice penale. Dobbiamo stare attenti a non sostituire alla “verità” religiosa la “verità” della cultura scientifica. La scienza, come ho già detto, non si fonda sulla verità. Il disorientamento dei ragazzi è da collegarsi all’assenza di sicurezza sociale, alla scarsa preparazione degli educatori nel proporre contenuti formativi che portano all’autonomia delle scelte. I primi disorientati sono i genitori a casa e i professori nelle scuole. La formazione dei ragazzi, a scuola e in famiglia, passa per la capacità degli adulti di confrontarsi con i bisogni dei giovani, bisogni che si esprimono con modalità differenti rispetto alle generazioni precedenti. Non si tratta, allora, di imporre delle verità, ma di aiutare i giovani a sviluppare il pensiero critico; per arrivare a ciò è necessario impegno e tanto studio. Anche chi si occupa di divulgazione scientifica dovrebbe adottare un modello analogo.

Quando parla di storia, di memoria storica e di politica nella sua accezione originale, cioè soddisfacimento dei bisogni, pone giustamente l’attenzione su quanto, invece, gli Italiani siano distanti ormai da tutto ciò che è inerente alla politica, grazie proprio al processo di rimozione, cancellazione di massa di tutti gli episodi storici e politici necessari ad una valutazione critica dei fatti. Anche in questo blog è stato trattato lo studio OCSE-PISA e l’analisi di Tullio De Mauro, con i drammatici risultati che sappiamo. In un contesto in cui solo una frazione minoritaria degli adulti è in grado di comprendere, rielaborare e trarre conclusioni autonome da un testo, è ancora possibile recuperare un interesse  partecipato verso la politica e, quindi, esercitare un diritto di voto consapevole?

Per rispondere a questa domanda dovrei scrivere un altro libro. Mi passi la battuta. Se l’attuale condizione italiana è il frutto di una strategia antica, studiata a tavolino e meticolosamente attuata da una classe politica a dir poco squalificata e incompetente, sarà dura risalire la china. Penso che almeno tre generazioni di cittadini sono stati condizionati; vuol dire che genitori, insegnanti, educatori, e, naturalmente, bambini e adolescenti, hanno assorbito quei messaggi devianti che si sono trasformati in comportamenti. È un fenomeno che riguarda anche altre nazioni. Per fare un esempio, gli Stati Uniti d’America non hanno scuole pubbliche di eccellenza; i cittadini che vanno a votare per eleggere il loro presidente o i deputati al Congresso quasi mai raggiungono il 30% degli aventi diritto al voto. Eppure gli USA passano per una nazione tecnologicamente avanzata, le università sono piene di premi Nobel, eccetera. Nonostante ciò, sono una nazione piena di contraddizioni: un elevato numero di poveri, la violenza che esplode nei quartieri periferici delle città. Stesse realtà le troviamo in molte città dell’Europa. Riconciliare i cittadini con la politica? Di quale politica parliamo? La politica autentica è quella che si mette a servizio dei cittadini e agevola la realizzazione dei loro bisogni fondamentali stabiliti nella Costituzione e nella Carta dei Diritti dell’Uomo. Non vedo in giro persone orientate in questa direzione. I mass media continuano a manipolare e mistificare; le TV commerciali sono interessate solo al profitto e a creare buoni consumatori; i genitori sono presi dai problemi quotidiani di come arrivare alla fine del mese, i governanti sono attenti al PIL, la scuola è sopraffatta dai problemi che conosciamo. Che resta?
Ho intitolato il mio libro “Sono figli vostri”. L’intenzione è quella di scuotere le coscienze. Che parta dai genitori e dagli educatori una rivoluzione culturale, che in concreto vuol dire occuparsi della “polis”; questo è fare politica, quella vera, che aiuta i bambini e gli adolescenti, cittadini di questa nazione, a sviluppare responsabilità per sé e per gli altri, nei rispetto dei diritti e nell’osservanza dei doveri. Cominciamo a porci come modelli coerenti; arrivare al voto consapevole e responsabile è un punto di arrivo. Dobbiamo pensarci noi a questi ragazzi, perché quelli che crescono “sono figli nostri”, e se non lo facciamo noi, non lo faranno coloro che sono interessati solo a mantenere il potere. Appunto, sono figli nostri.

-> Per approfondimenti, vai al sito di Koinè

Share
Questa voce è stata pubblicata in Uomini e Donne e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

2 risposte a Intervista a Claudio Gerbino, autore di Sono Figli Vostri

  1. Pingback: Aggressitivtà, bisogni ed apprendimento. La ricerca di Walter Toman. | LidiMatematici

  2. Pingback: In Italia l’immigrazione al minimo storico eppure è violenta escalation razzista: il punto dati alla mano | LidiMatematici

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *