La percentuale: bestia nera degli italiani ?

Spulciando tra i log di connessione di questo blog, mi sono accorto che uno dei post più gettonati è, da sempre, il calcolo della percentuale. Ce ne siamo occupati ormai più di quattro anni fa e, da allora, è sempre stato saldamente in vetta alla classifica delle pagine più visitate.

Le percentuali sono probabilmente lo strumento matematico più utile nella vita di tutti i giorni, eppure è evidente una certa difficoltà non solo nella loro comprensione, ma proprio nell’utilizzo quotidiano. Sono tornate alla ribalta grazie alle consultazioni amministrative di giugno, quando è stato proprio evidente come la difficoltà di tanti, troppi, a maneggiare le percentuali ha dato per l’ennesima volta la possibiltà di interpretare le cifre elettorali nei modi più disparati. E’ così che abbiamo avuto un presidente del consiglio che è riuscito a sostenere, grazie ad una altrettanto distorta informazione, che i risultati sono stati addirittura “buoni” per il governo.

Come accade sempre in democrazia, le distorsioni hanno luogo perché il popolo non ha gli anticorpi culturali per rigettarle. Anticorpi che, in questo caso, sono proprio rappresentati da … una solida conoscenza delle percentuali. Quante volte ci è capitato di faticare a scorporare l’IVA ? Quante volte avete sentito frasi iniziare con “fatto cento …” ? Quante volte vi capitano persone che, per calcolare una proporzione, ricorrono all’artificio denominato delle proporzioni, appunto, imparato a scuola media? Dunque … x sta a y come z sta a ….

Ecco, queste sono tutte persone che hanno evidenti difficoltà nel calcolo delle percentuali. Vediamo oggi un esempio concreto, applicato proprio alle ultime elezioni amministrative. Non senza, ovviamente, un piccolo riassunto della semplicissima impostazione teorica dietro al concetto di percentuale.

Ribadiamo, innanzitutto, che la “percentuale” non è altro che una notazione. Vale a dire che quando scriviamo 100%, stiamo in realtà scrivendo 1. Tutto il resto viene automaticamente a seguito di questa banalissima convenzione notazionale. Come a dire che si scrive 27% ma si legge 0.27. Non occorre effettivamente dividere per 100 come, disgraziatamente, si è insegnato e si continua ad insegnare in diversi testi.

L’applicazione di una percentuale è, quindi, un banale calcolo che coinvolge un coefficiente moltiplicativo. Vediamo alcuni esempi pratici:

“il 25% di 200 è pari a …” = 25% x 200 = 0.25 x 200 = 50

“50 è il 25% di …” = 50 / 25% = 50 / 0.25 = 200

si osservi come le due operazioni sono l’una il processo inverso dell’altra e, infatti, usano due operazioni aritmetiche che sono, appunto, l’una inversa dell’altra: moltiplicazione e divisione.

Per ulteriori dettagli rimandiamo ovviamente alla serie di post originali, con il link a fine pagina, e approfittiamo per portare un esempio pratico. Ricordate quando, a seguito del primo turno, Renzi parlò di “sconfitta ma non di disfatta”, perché le percentuali delle votazioni, se rapportate alla popolazione degli aventi diritto, non rappresentvano uno scenario da tracollo?

Perfetto esempio di applicazione: ne approfittiamo subito. Questa tabellina riassume i dati delel elezioni amministrative al primo turno del 2013 e del 2016. Le righe rappresentano, rispettivamente l’affluenza alle urne e le percentuali di votanti per il Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia/PDL e la categoria “Altro”.

percentuale_amminist

Nel 2013 al primo turno ha votato 52,81% degli aventi diritto e, di questi, le percentuali di voto per i principali candidati e tutti gli altri sono indicati rispettivamente al 42,6% per il PD, 12,43% per M5S, 30,27% per FI e 14,7% per tutto il resto.

Subito dopo il primo turno, Renzi contesta immediatamente il risultato elettorale al Movimento 5 Stelle, dicendo che se si rapportano le percentuali rispetto al totale dei votanti, allora l’esito non è così netto. Verifichiamo questa affermazione con un semplice calcolo, iniziando proprio dal PD.

Nel 2013 il 42.60% del 52.81% della popolazione ha votato PD, quindi, ricordando che la “percentuale” è solo una notazione abbiamo:

42.60% x 52.81% = 0.426 x 0.5281 = 0.225 = 22.5%

nel 2016 abbiamo invece che il 24,91% del 57,02% della popolazione ha votato PD:

24.91% x 57.02% = 0.2491 x 0.5702 = 0.142 = 14.2%

Quindi tra il 2013 e il 2016 il PD perde circa l’8% del voto degli aventi diritto. Con un calcolo analogo si ottengono tutte le altre percentuali assolute, da cui si deduce che il Movimento 5 Stelle ha abbondantemente triplicato i consensi. Le colonne 2013-ass 2016-ass, riportano le percentuali al valore assoluto rispetto alla base dei votanti. Notate, per controllo, come la somma delle percentuali in queste colonne faccia il totale dei votanti, ovvero la percentuale di affluenza alle urne.

Considerazioni politiche a parte, il fatto importante – e grave – è che nella settimana successiva al primo turno le interpretazioni artatamente errate del risultato elettorale sono rimbalzate su diversi media, compresi quelli di opposizione.

Un semplice, banale, calcolo che coinvolga l’interpretazione corretta della percentuale avrebbe ampiamente smentito. Curioso, davvero, che nessun giornalista professionista abbia preso il toro per le corna, calcoli e cifre alla mano.

Gioie e dolori: se è vero che viviamo in un paese che culturalmente deve ancora crescere parecchio, almeno abbiamo un solido motivo per cui i blog indipendenti come questo hanno ancora ragione di esistere.

-> Vai alla serie di post sul calcolo della percentuale

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Una risposta a La percentuale: bestia nera degli italiani ?

  1. Ferruccio scrive:

    Se il punto è la “nettezza” del risultato rispetto agli aventi diritto al voto nel primo caso il PD risulta avere il 9,3% in più della percentuale media e il 5,86% in più del secondo classificato.
    Nel secondo caso il M5S ha il 6,51% in più della percentuale media e il 5,91% in più del secondo classificato.
    Da questo punto di vista la distribuzione dei voti nel secondo caso è più omogenea (minore deviazione).
    Questo senza nulla togliere alla “malizia” con la quale si cambia il punto di vista dei risultati pur di non accettare di aver perso.

    Diverso il discorso per i giornalisti per i quali non è necessario pensare alla malafede.

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