Poesia al calcolatore: un piccolo (e scioccante) esperimento

computerpoetryEra il lontano 1950 e già Alan Turing si interrogava, nel suo saggio Computing Machinery and Intelligence, sulla facoltà delle macchine calcolatrici di pensare. Un test semplice semplice: programmare una macchina per sostenere un dialogo, anche condito da domande, e sottoporre le risposte ad un umano. Ma l’umano non deve sapere che sta parlando con una macchina, e lo stesso umano deve anche parlare con una persona in carne ed ossa. Ovviamente, il test viene condotto per iscritto, in modo da non poter avere alcun indizio su chi è chi.

O, meglio, chi è cosa: se, alla fine del dialogo, l’umano non è in grado di indicare quali sono le risposte della macchina e quelle dell’uomo, allora la macchina ha passato la prova. E’ il famoso Test di Turing, nato per dirimere la questione “i computer, possono pensare”?

Inutile dire che, nell’arco dei decenni, il Test di Turing ha subito pesanti critiche: non fosse altro per il fatto che già dalla fine degli anni ’60 un semplice programmino era in grado di ingannare la maggior parte degli umani.

Oggi, nell’era di Internet e dei Social Network la questione si fa ancora più spinosa, non solo perché i programmi di dialogo automatico o chatbot sono ormai affermati, e non solo perché l’intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante, come testimoniano Siri e Cortana, gli assistenti digitali ormai implementati negli smartphone.

Il tema è un filo più complicato perché, nel frattempo, un curioso fenomeno di endecasillabo
massa si è innestato prepotentemente nel tessuto del cyberspazio. Quante volte avete visto condividere messaggi apparentemente profondi, e invece completamente sconnessi? Impossibile non notare quanta strada, attraverso le condivisioni, abbiano fatto aforismi assolutamente privi di contenuto.

Tanto da suscitare l’interesse della Society For Judgment and Decision Making, che in una ricerca apposita On the reception and detection of pseudo-profound bullshit, ha tracciato un profilo piuttosto preciso del tipico condivisore compulsivo, o della persona che cade tout-court nella trappola delle frasi assolutamente prive di contenuto.

La ricerca, di cui trovate il consueto approfondimento a fine articolo, verte su una idea estremamente semplice: proporre a persone comuni aforismi scritti da persone in carne ed ossa e aforismi generati al calcolatore. Manco a dirsi, una buona fetta di soggetti non solo non ha capito di avere a che fare con scritti generati automaticamente, ma ha pure assegnato loro una valenza di contenuto profondo.

Da bravo blog di istigazione alla conoscenza, LidiMatematici ha condotto un piccolo esperimento. Approfittando del fatto che tra i vari contatti della redazione ci sono persone appassionate di poesia, abbiamo iniziato a proporre come poesie dei componimenti realizzati da due siti web. Uno è un generatore di Haiku, piccoli componimenti di tre strofe, e l’altro addirittura un generatore di componimenti in varie forme, endecasillabi compresi, che va sotto l’acronimo di D.A.N.T.E.: Declamatore Automatico Non Tanto Eccellente.

D.A.N.T.E. è abbastanza sofisticato da mettere assieme varie fonti, ed utilizzare anche alcune parole chiave come spunto, mescolando assieme versi presi dalla Divina Commedia, all’Iliade, dall’Odissea all’Orlando Furioso, e così via.

Con il proposito di infiltrarsi in un gruppo di appassionati di poesia e guadagnare credibilità, il primo passo è stato proprio condotto pubblicando un componimento in endecasillabi, recepito con un certo apprezzamento, e comunque senza il minimo dubbio si trattasse di uno scritto in realtà vuoto. Solamente un utente, su oltre cinquanta, ha “mangiato la foglia”, ma tant’è l’esperimento è proseguito.

A questo punto, semplicemente condendo i componimenti automatici prodotti dal haiku2generatore di Haiku, con un commento che ne giustifichi la natura, abbiamo ottenuto lo scopo di far accettare le poesie, addirittura pubblicandole nella pagina del poeta. Roland Barthes, nel suo saggio “L’Ovvio e l’ottuso”, poneva l’accento sull’importanza delle didascalie nel processo di significazione e, purtroppo, l’esperimento che abbiamo condotto parla chiarissimo, dimostrando chiaramente come una semplice didascalia, a commento, sia stata la chiave in grado di trarre in inganno il lettore.

Non è possibile dare valenza di statistica vera e propria a questo esperimento, data la settorialità e il contesto della platea cui è stato rivolto. Tuttavia fa pensare, e anche parecchio.

Se è possibile infiltrarsi con un banale motore automatico di generazione del testo, realizzato al calcolatore, ci sono solo due possibili alternative: o i programmi al calcolatore sono talmente sofisticati da passare per umani, o il senso critico degli umani sta scemando notevolmente.

Tenendo conto che la realtà sta sempre nel mezzo, lo scenario che si apre merita sicuramente una riflessione.
-> Vai all’approfondimento su Alan Turing
-> Vai all’approfondimenti sulla ricerca sugli aforismi pseudo-profondi
-> Vai al generatore di Haiku
-> Vai a D.A.N.T.E.

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2 risposte a Poesia al calcolatore: un piccolo (e scioccante) esperimento

  1. Stefano Gliozzi scrive:

    Consiglio, sul tema della poesia automatica, la lettura di un racconto di Primo Levi (si trova ad esempio in Racconti, ed Einaudi) dal titolo “il versificatore”.
    Ovviamente non parla della macchina, ma degli esseri umani intorno a lei.

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