Libera l’esperto che è in te e contribuisci alla Fine Della Competenza

Siamo alla fine della campagna elettorale, e mai come oggi si è sentito il peso dei social network e del “sentir comune”, degli appelli alla “pancia del paese”. Lo abbiamo detto e ridetto: le statistiche su sicurezza e immigrazione sono decisamente positive, eppure l’impianto di propaganda elettorale su questi temi regge alla grande.

La domanda davvero interessante è come mai, nonostante le cifre parlino chiaro, la grande massa appare essere completamente immune alle analisi? E come mai questa tendenza sociale sembra essere inarrestabile non solo all’interno del paese, ma addirittura capace di propagarsi, un vero e proprio fenomeno transnazionale?

La risposta viene da lontano, precisamente nell’articolo apparso su The Federalist, ormai quattro anni fa, a cura di Tom Nichols, dal titolo volutamente allarmante, ma illuminante: The Death of Expertise, la fine della competenza.

Nell’articolo Tom Nichols, studioso di scienze sociali, pone l’accento su un fenomeno in grande ascesa negli stati uniti: molto spesso, quando un esperto afferma la propria compentenza, si sollevano veri e propri moti di rabbia nella controparte. Mentre da un lato la pancia del paese desidera ardentemente che uno valga uno, ovvero che l’opinione dell’uno valga quanto l’opinione dell’altro a prescindere dalla competenza oggettivamente maturata, in caso di controversia la parte meno competente reagisce addirittura con rabbia, aggredendo con aperto discredito.

Sembra la base della polemica quotidiana, cui ormai siamo abitutati, ma è – invece – molto di più: un vero e proprio fenomeno sociale. Alla radice di questo fenomeno c’è essenzialmente la confusione della grande massa per cui “democrazia” sia sinonimo di uguaglianza su tutti i fronti. Eppure, sottolinea Nichols, la democrazia è “solo” una forma di ordinamento di governo:

avere pari diritti non significa avere pari talenti, pari abilità o pari conoscenza

Insomma, uno non vale certo uno. E’ il mantra alla base dei partiti emergenti, ma anche di larga parte della destra e della pancia del paese, che prende chiaro corpo quando si contestano cifre oggettive sulla base della “esperienza personale”.

E pensare che questo è proprio uno dei tratti salienti dell’analfabetismo funzionale, il cui meccanismo principe sta proprio nel valutare i fatti del mondo solo sulla base, appunto, della propria diretta esperienza personale. Quante volte abbiamo letto sui social network, in risposta alle rilevazioni ISTAT sull’immigrazione, attacchi o ingiurie in salsa di “ma che stai a di’? Ma non li vedi gli extracomuitari al parco/sull’autobus/che bivaccano (etc etc etc) ?”.

Esperienze dirette, personali, limitate, contro studi oggettivi. E tanta, tanta rabbia in risposta all’asserzione di competenza. Se fosse un fenomeno locale sarebbe finita qui, ma siccome è un fatto transnazionale, nato in modo indipendente e con dinamiche simili in vari paesi, qualche riflessione vale la pena di farla.

Ditemi se vi ritrovate nelle parole di Nichols:

Temo siamo testimoni della morte della compentenza: un collasso delle divisioni tra studenti e insegnanti, professionisti e praticoni, alimentato a ricerche su Google, copia e incolla da Wikipedia e blog di vario genere.

E questa, credetemi, è spunto per una severa autocritica anche per LidiMatematici. Ovviamente non è la competenza in sé a morire, ma il peso che questa ha nel tessuto sociale. Con l’aggravante che a scemare non è solo l’importanza della competenza in sé, ma anche il processo di analisi, verifica e utilizzo dell’informazione, della conoscenza, per prendere decisioni sui temi ordinari del vivere quotidiano e, per estensione, per orientarsi nei grandi temi, politica inclusa.

Le persone non cambiano comportamento, e non cambiano proprio come persone, sulla base delle informazioni che recepiscono. Anzi, spesso le rigettano proprio quando sono più preziose, è cioè quando provengono da fonti autorevoli.

Perché è pericoloso?

La fine della compentenza è un rifiuto non solo della conoscenza, ma dei modi in cui guadagnamo conoscenza e impariamo dalle cose, le basi della stessa civiltà occidentale”.

Abbiamo parlato tante volte in questo blog del metodo scientifico: lo abbiamo inventato proprio noi italiani, con Galileo. Eppure quando si tratta di orientarci nei fatti della vita rigettiamo completamente ogni forma di informazione strutturata ed ufficiale.

L’effetto perverso della morte della competenza è che senza più esperti reali, ognuno è esperto di tutto”.

E qui Nichols cita espressamente un fenomeno in incredibile ascesa anche in Italia: quello degli antivaccinisti. Anche il comportamento e il linguaggio dei politici negli Stati Uniti si è ben adattato alla mancanza di comprensione chiaramente denotata dai commenti nei social network. Le persone non sanno distinguere frasi di disaccordo nei contenuti dagli attacchi personali. E’ così che ad Ugo Qualunque, le frasi “hai torto” e “sei stupido” suonano equivalenti.

Il disaccordo è un insulto. Correggere una persona equivale ad essere un hater

E, di questo meccanismo, la politica ha fatto ampiamente cassa. Quante volte abbiamo visto questo o quel politico ridere delle critiche, seppur, argomentate? Ridurre le proprie questioni aperte con la giustizia come “attacchi personali” ?

Così, se da una parte è vero che tutti hanno il diritto di argomentare sulle questioni pubbliche, è anche vero che ciò dovrebbe accadere quando sussistono le competenze per farlo. E, sempre più spesso, la massa non è in grado di distinguere le prove basate sui fatti da mere opinioni personali.

E’ così che l’esperto, la persona competente, si trova a dover fornire dapprima la base minima di conoscenza per argomentare, e poi dover costantemente discutere su questioni di logica davvero di infimo livello.

Quante volte avete sentito rispondere ad argomentazioni complesse con “ma che stai a dì?”. Ecco, è solo un esempio. Sia chiaro che nessuno vuole mettere i social network sul banco degli imputati, è “solamente” il modo in cui vengono usati, essenzialmente la mancanza di cultura della grande massa che si trova ad usare nuovi mezzi di comunicazione globali avendo ampi conflitti irrisolti alle spalle.

Conflitti spietatamente evidenziati dall’esperimento del  1986 e del  1993 di Radio Radicale, che aprì per giorni i microfoni al pubblico senza filtri. Un esperimento interessante,  vale la pena di ascoltare: per capire che uno non vale certo uno.

 

L’articolo di Thomas Nichols oggi è diventato un libro, tradotto in Italiano in “La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia”, LUISS University Press, Roma, 2018.

-> Vai all’articolo originale su The Federalist

 

Foto di apertura: The Federalist, 2014

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