Cannabis, giovani e mercato: una analisi con dati scientifici a supporto

E’ un tema poco trattato e spesso condito da commenti personali e privi di riferimento scientifico, quello della liberalizzazione della cannabis. Così come poco trattato con strumenti a supporto nel merito è il quadro generale che dipinge la relazione tra cannabis e giovani.

Dal punto di vista della legge, nel 2007 l’allora Ministro della Sanità Livia Turco ha regolamentato, con decreto apposito, l’utilizzo terapeutico della Cannabis. L’ulteriore riconferma del Ministero della Salute 2015, a guida Beatrice Lorenzin e, infine, l’apposito decreto del maggio 2017 hanno infine stabilito un quadro normativo entro cui poter produrre, vendere ed acquistare la cannabis legalmente.

Un passo importante perché innanzitutto si normano i limiti di legge del THC, il principio responsabile degli effetti psicoattivi, regolamentato ad un limite pari allo 0,6%. La risposta del mercato non si è fatta attendere, e alla Fiera Internazionale della Canapa a Casalecchio sul Reno, l’anno scorso, è stato presentato EasyJoint, una variante di canapa con limiti bassissimi di THC ma alti livelli di cannabidiolo. I produttori assicurano, quindi, un effetto “calmante” senza gli esiti caratteristici, collaterali, del consumo di cannabis ordinaria.

In una intervista apparsa in Wired di Marzo 2017, il direttore dell’istituto di chimica molecolare del CNR Vincenzo di Marzo, spiega che il contenuto di THC regolamentato per legge è oltre che dimezzato rispetto all’erba consumata ai tempi del boom di 50 anni fa, e 30 volte inferiore che non nelle sostanze più pesanti, sinteticamente arricchite, in commercio nel circuito illegale oggi.

Con la disponibilità del prodotto si moltiplicano quindi i negozi, o growshop, di cannabis legale, praticamente quadruplicati negli ultimi 10 anni, con circa 400 unità sul territorio nazionale. A fare la differenza è però l’orientamento del negozio, cioé lo scopo commerciale: i growshop di oggi propongono prodotti per la coltivazione, la vendita di fibre tessili e per il consumo alimentare. Insomma, la cannabis legale oggi non si può solo fumare, ma anche mangiare o usare per realizzare borse.

Prodotta da chi? Da oltre 80 aziende nate in territorio italiano proprio a seguito della apertura all’uso terapeutico del maggio 2017.

Secondo i titolari dei negozi di canapa legale, la clientela tipo non è giovanissima: oltre il 90% è nella fascia over 25, con una buona percentuale proprio negli over 55. E’ un dato dichiarato con risvolti interessanti, che getta un ponte rispetto all’era “woodstock” degli anni sessanta e settanta. Dato però in controtendenza con le statistiche ufficiali (vedi grafico comparativo dei consumi nei giovani in Europa, a destra).

La legge pone dei limiti fondamentali per la tutela della salute, infatti il parere della scienza è unanime: l’assunzione di alto contenuto di THC ha effetti nocivi. Paolo Garante e Gian Mario Uniola, in Scienze Foresi n.1 del marzo 2015 propongono una analisi scientifica che parla chiaro: il THC è responsabile degli effetti psicoattivi, poiché transita rapidamente dai polmoni al cervello e si lega alle cellule nervose influenzandone la funzione.

Cosa si intende per alto contenuto di THC? L’Osservatorio Europeo sulle Droghe e Tossicodipendenze, nel 2014, ha valutato il contenuto di THC nelle droghe illegali, stabilendone un range che va dal 2 al 18% per l’hashish e dal 3 al 14% per la marijuana. Ad essere responsabili dell’aumento del tasso del principio attivo sono anche le droghe sintetiche, herbal mixtures o smart drugs, ottenute con procedimenti chimici appositi. Una vera truffa nell’illegalità, perché la sostanza venduta è, di fatto, artificiale in buona parte.

Lo stesso articolo dipinge un quadro del consumatore medio all’interno della popolazione generale tra i 18 e i 64 anni, rappresentato dalla indagine nazionale GPS-DPA (Global Population Survey del Dipartimento delle Politiche Antidroga), nel 2012: almeno il 21% della popolazione ha provato almeno una volta droghe nella vita con una netta prevalenza, per la popolazione italiana, nell’uso della cannabis.

Il consumo di droghe ad alto contenuto di THC produce un vero e proprio processo di neuroadattamento: ovvero il cervello si adatta, cambiando la propria struttura, alla sostanza che assume. Le alterazioni neurologiche hanno impatti cognitivi, ovvero sulle funzioni di apprendimento, ragionamento e memorizzazione e motivazionali, ovvero sulle spinte comportamentali che ci sostengono e dirigono nella vita di ogni giorno ad individuare e realizzare obiettivi legati al comune sostentamento (mangiare, lavarsi, vestirsi, lavorare o studiare).

La ricerca di Carter, Hall e Nutt- riporta lo studio- mostra come l’uso di droghe produca un apprendimento di fatto rinforzato nel cervello, che aumenta sensibilmente il senso di gratificazione, a scapito di quello percepito dalle attività ordinarie. Vale a dire: chi assume sostanze è molto più gratificato che non svolgendo le attività quotidiane.

E’ importante sottolineare che nel novero delle sostanze che provocano questo effetto rientra non solo la cannabis, ma anche alcol e nicotina, di fatto raggruppabili nello stesso ambito di analisi.

A seguito della assuzione di THC, il cervello produce una vera e propria alterazione strutturale, rilevata negli studi scientifici mediante risomnanza magnetica funzionale FMR e tomografia PET, tra cui la attivazione di alcune aree cerebrali specifiche responsabili del desiderio compulsivo, del controllo inibitorio, dei processi cognitivi, della memoria e dell’apprendimento e, infine, delle pulsioni corporee.

Alla base del meccanismo, secondo studi addizionali presentati da Garante e Uniola, sta una importante risposta nel tasso di dopamina nel cervello, di oltre dieci volte superiore che non quello prodotto dai cosiddetti “rinforzatori naturali”, ovvero da quelle attività ordinarie che ci fanno star bene, come fare sport, leggere un libro, fare una passeggiata o fare l’amore.

Le ricerche sugli adolescenti, mostrano inoltre come questi effetti siano praticamente permanenti, ovvero il soggetto non è di fatto in grado di recuperare le funzioni di adattamento, stimolo, memoria e cognitive, perse a seguito dell’assunzione di droghe.

Il quadro riportato nell’articolo, corroborato da studi svolti nel decenni scorso (Moore, Ferguson, Dionigi, Pavarin), riportano chiaramente come l’assunzione di sostanze sia un predittore efficace di effetti psicotici in giovane età, intorno ai venti anni: allucinazioni, deliri, disorganizzazione del pensiero, derealizzazione, fino alla schizofrenia in taluni casi (rischio fino a 5 volte superiore, secondo uno studio dell’Università di Maastrichte del 2011).

La derealizzazione, ovvero la sensazione di essere “altro da se”, viene confermata dagli stessi soggetti, che si percepiscono esternamente, come vivessero in una realtà distorta in cui possono osservarsi. I sintomi riportati dagli stessi soggetti trovano conferma in studi pregressi (Hall, Dagenhardt, 2009) in cui si evidenzia una netta correlazione statistica tra l’assunzione di droghe e sintomi come ansia, panico, effetti psicotici nonché un rischio maggiorato di incidentalità stradale.

Lasciamo ai lettori interessati alcuni collegamenti esterni di approfondimento.

-> Minori e Cannabis, in Scienze Forensi
-> Cannabis e psicosi
-> Una testimonianza di derealizzazione

 

 

 

Share
Questa voce è stata pubblicata in Teoria e Pratica e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *