Italiani e razzismo: una emergenza che viene da lontano

In una inchiesta de “La Stampa”, i numeri su razzismo e xenofobia dimostrano una escalation davvero preoccupante:

33 aggressioni a sospetta matrice xenofoba o razziale negli ultimi due mesi
803 reati con matrice d’odio razziale negli ultimi due anni, con un aumento del 560% dal 2009 ad oggi
73000 tweet contro i migranti nel report Vox 2018, praticamente raddoppiati dal 2016

Il quadro socio-politico in Italia mostra un evidente razzismo endemico che affonda le proprie radici in un passato neanche troppo recente. Scriveva Annamaria Rivera nel Rapporto sul Razzsimo in Italia del 2009:

“Il Rapporto più recente (6 marzo 2009) dell’Ilo, l’Agenzia per il Lavoro dell’Onu, sull’applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni internazionali in tema di diritti dei lavoratori, documenta e denuncia che l’Italia viola la Convenzione 143 sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti, ratificata nel 1981: anche per responsabilità dei suoi leader politici i lavoratori immigrati, le minoranze e soprattutto i rom sono gravemente discriminati, in un contesto in cui anche dalle istituzioni è favorita la diffusione di forme di intolleranza, xenofobia e razzismo”.

Il ruolo dei Social Network è rilevante, sia nella diffusione che nella legittimazione del comportamento razzista, con la novità che questo si estende in forma violenta anche contro la parte civile del paese, che tenta di isolare – attraverso i cosiddetti anticorpi culturali – il comportmaneto razzista.

Il razzista, in Italia, sembra non rendersi conto di esserlo. Di norma giustifica il proprio odio razziale con una aperta lotta alla delinquenza. Il che sarebbe pure sacrosanto, salvo poi affermare – invariabilmente – che alcune etnie tendono a delinquere più di altre. Ed è proprio qui che incappa in quanto sancito come odio razziale, ai sensi della legge Mancino 205/93. In merito ci sono anche sentenze che fanno giurisprudenza, come le frasi contro i Rom da parte del sindaco Formaggio di Vicenza, il quale affermò che “I nomadi delinquono, ce l’hanno nel Dna”.

Gli italiani razzisti hanno una caratteristica in comune abbastanza frequente: non vogliono sentirselo dire. Anzi, si offendono pure e rispondo con offese a quella che loro, appunto, reputano una offesa. Eppure “razzista” non è una offesa, ma una rilevazione comportamentale ai sensi del codice penale. E’ importante comprendere che quando si afferma, o peggio si scrive sui social un post che stigmatizza gli zingari o le minoranze, questo post è razzista nel senso proprio del termine. Il punto chiave è che molti italiani vogliono poter esercitare atti di razzismo senza assumersene la responsabilità.

Per fortuna che esiste una società civile che fa scattare i cosiddetti “anticorpi”. Ma quando ciò accade, la risposta di quella parte del paese che mette in atto comportamenti razzisti è preoccupante, perché dimostra una immediata deriva violenta.

La vicenda di Raffaele Ariano, il ragazzo che ha denunciato l’episodio di razzismo sulla tratta Milano-Mantova di Trenord è emblematica: solo nelle prime ore dopo la sua
denuncia, ha ricevuto sul suo profilo Facebook oltre 33.000 commenti di matrice razzista e xenofoba, caratterizzata da una violenza verbale incredibile.

Violenza del linguaggio che è segno molto preoccupante e che si rivolge anche contro alla parte sana del paese, che tenta di isolare questi comportamenti, Così come i nazisti chiamavano “pietisti” coloro che difendevano gli ebrei, gli epiteti si sprecano: “buonisti”, “radical chic” conditi da ingiurie variegate. È il guaio è che chi cade in questo linguaggio non si rende conto che costituisce forma di odio evidente.

Comportamenti ampiamente illegali, in aperta violazione dell’Art. 595 del Codice Penale:

“La diffamazione è l’offesa nei confronti della reputazione altrui commessa comunicando con altre persone, che devono essere almeno due o più di due. In questo caso di solito la vittima non è presente.
(…). Se la diffamazione avviene a mezzo internet, come nel caso di un post offensivo su Facebook o una notizia veicolata su un sito, si ha un’aggravante (…)”

Ma, al di là degli aspetti di legge, il vero punto è proprio l’odio: gli italiani sono in prima linea in quanto ad odio online e, in generale, basato su valori come intolleranza e razzismo, un fenomeno che diverse università stanno studiando il fenomeno da tempo (vedi il Rapporto Vox a fine articolo).

Il dato più interesssante è che, contemporaneamente, gli sono primi per “indice di ignoranza” cioè gli italiani sono i primi in Europa in quanto a percezione distorta del reale, sovrastimando immigrazione e criminalità. Questo dato è confermato da diversi studi, tra cui citiamo il Progetto Noi ISTAT, che dimostra in modo impietoso come i fenomeni radicati nella pancia del paese, tra cui proprio il razzismo nei confronti degli extracomunitari, siano alimentati da falsa informazione: si scopre, infatti, che la tanto temuta invasione di extracomunitari è un fenomeno inesistente, così come inesistente è l’emergenza sicurezza.

Il risultato netto è una radicalizzazione dei comportamenti di autolegittimazione, come ad esempio la giustificazione di essere razzisti perché si è “provocati”, o come molti affermano di essere vittima di un “razzismo al contrario” contro gli italiani.

L’italiano razzista si autogiustifica dicendo che “urlare al razzismo“ è razzismo, ignorando che l’odio razziale ha una definizione esatta ai sensi di legge, e questo è e deve essere un punto fermo.

Secondo il razzista chi difende le minoranze etniche, difende anche l’illegalità. È una distorsione molto povera che sembra non comprendere un fatto basilare: la delinquenza va condannata sempre, tuttavia usare la delinquenza per affermare che “gli zingari rubano” è odio razziale, ai sensi di legge. Insomma, in assenza di razzismo l’etnia non viene citata. Un fatto basilare che non riesce a penetrare nel tessuto sociale.

Il razzista non solo si offende, ma diventa pure violento e non sempre a parole, come le cronache hanno ampiamente dimostrato. Cosa fare? Di certo occorre una “contronarrazione”, ovvero un processo attivo di divulgazione degli elementi culturali, e di legge, di contrasto a questi comportamenti.

A questo proposito, fanno riflettere le parole di Annamaria Rivera, ricordiamolo risalenti al 2009:

“Si è prodotto, in Italia, un circolo vizioso preoccupante fra il discorso e l’azione dei governi e di alcuni partiti politici, l’opera di riproduzione di cliché, stereotipi e pregiudizi svolta dal sistema mediatico, la diffusione di forme di xenofobia popolare, spinte fino alla spedizione punitiva e al pogrom, all’omicidio e alla strage razzista. In certi quartieri popolari metropolitani sono ormai quotidiane le aggressioni fisiche indiscriminate contro migranti, rom, cittadini italiani di pelle più o meno scura, spesso prive di ogni movente o pretesto che non siano riconducibili al razzismo”.

E’ innegabile che vi sia una corresponsabilità evidente tra il pensiero e l’azione di governo, sempre attenta a stare entro il filo di un comportamento ai sensi di legge, e le derive comportamentale apertamente xenofobe e razziste che poi si manifestano nella vita quotidiana, come testimoniato dalla cronaca e dai numeri.

-> Vai al Rapporto Vox 2018
-> Vai al Rapporto sul Razzsimo in Italia (2009)
-> Vai al progetto Noi Istat

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