Un atto di compravendita racconta cento anni e quattro generazioni di Storia d’Italia

Rovistando negli archivi casalinghi ho reperito un documento eccezionale: si tratta dell’atto di acquisto dell’abitazione della casa in campagna, da parte del mio bisnonno, Giulio Missori “fu” Pietro, il mio trisavolo. L’atto ha quasi un secolo: è datato 28 dicembre 1919.

Leggendolo con attenzione si è rivelato essere una vera miniera di considerazioni e informazioni, il mio bisnonno Giulio, da parte di padre, è nato nel 1862, un anno dopo l’Unità d’Italia. Una interessante simmetria con la mia generazione, essendo io nato poco più di cento anni dopo, in concomitanza con lo sbarco sulla Luna.

C’è davvero tanta storia del nostro paese nel documento, ove si legge, il notaio riferisce di essere:

“Assistito dai ‘Signori’ Raimondo Davide e Moscatelli Augusto entrambi ‘possidenti’ e domiciliati in Montecompatri, testimoni idonei”

per l’atto di compravendita tra:

“i ‘Signori’ Giulio Missori, vignaiuolo e Ciuffa Federico, possidente”

Il primo particolare interessante del documento è la ricorrenza del termine ‘Signore’, rigorosamente tra virgolette. Era un signore di cortesia, perché questa parola era destinata al ricco. Il mio bisnonno Giulio era infatti un contadino, una persona semplice che, dalla memoria storica di famiglia, risulta essere analfabeta. Mentre la qualifica dei testimoni e della controparte è possidente: colui che possiede beni, tali da trarne sostentamento, cita il vocabolario Treccani.

Uno spaccato interessante della società dell’epoca, in cui la povertà era la regola e, per questo, possedere un bene (“anche una vacca“, si diceva), era testimonianza di valore della persona. Tanto da essere, appunto, testimone idoneo, come recita l’atto.

E’ importante ricordare che, subito dopo l’Unità d’Italia, per avere diritto al voto non solo occorreva avere almeno 25 anni, ma erano in vigore requisiti di censo, ovvero di reddito, che doveva essere almeno di 40 lire annue e, particolare non trascurabile, bisognava saper leggere e scrivere. All’atto pratico, votava una ristretta percentuale della popolazione.

Con la legge 593/1882, i requisiti di censo ed età sono stati abbassati rispettivamente a 21 anni e poco meno di 20 lire annue. E’ stato necessario attendere il 1913, con il testo unico n.821/1913 quando il diritto di voto è stato esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni. Così, se da un lato il voto rimaneva precluso alle donne, dall’altro il diritto di voto veniva allargato alla quasi totalità della popolazione. Povera o analfabeta che fosse.

E, a proposito di reddito, il prezzo di vendita che si legge nell’atto fornisce spunti interessanti di riflessione:

“La vendita dello stabile (…) si fa e si accetta per il prezzo tra le parti convenuto e stabilito di lire cinquemila”

Per comprendere questo dato ci è di aiuto il rapporto di Banca d’Italia “I prezzi delle abitazioni in Italia 1927-2012”, che interviene a poco più di un decennio dalla data del documento e dimostra una tendenza piuttosto interessante, riassunta in questo grafico:

in cui le tre serie storiche del costo di produzione delle case (gli investimenti), il costo di acquisto e il PIL procapite prendono come riferimento unitario la prima data utile di analisi, l’anno 1927. Se ne osserva immediatamente la drammaticità del periodo a cavallo degli anni ’40, quando la seconda guerra mondiale ha gettato in uno stato disperato l’intera nazione, dimezzando praticamente tutti e tre gli indicatori.

A quanto ammontano le 5000 lire pagate nel 1919?

Il grafico mostra chiaramente come, rispetto agli anni ’20, il PIL procapite è quasi decuplicato, costa il doppio costruire una casa ma questa viene venduta ad oltre il triplo del prezzo. A moneta corrente, dato che il valore alla quotazione attuale delle case è di circa 100 mila euro, Giulio ha pagato l’equivalente di 30 mila euro odierni. Ma il dato importante è che il reddito del mio bisnonno era un decimo di quello di oggi.

Non è un caso, infatti, che la casa sia stata acquistata da Giulio all’età di 57 anni. Considerando che secondo uno studio degli operatori del settore l’età media degli acquirenti di casa è oggi di poco più 41 anni, si deduce che il mio bisnonno ha investito in quella abitazione i risparmi di una vita.

L’ultima pagina dell’atto conferma il fatto che mio nonno fosse analfabeta, riportando infatti, oltre alla firma del notaio, solo quelle della controparte e dei due testimoni: Giulio Missori ha firmato con una “X”.

Secondo ISTAT, l’analfabetismo in Italia aveva all’epoca una incidenza di poco inferiore al 30%. Tre persone su dieci erano analfabeti con una incidenza maggiore nelle aree rurali, e questo è l’ulteriore aspetto interessante raccontato dall’atto notarile: non è stato solo il PIL a decuplicare, in questi cento anni, ma anche l‘istruzione.

Sempre a fonte ISTAT, infatti, dalla fine della seconda mondiale ad oggi il numero di iscritti all’Università è passato dal 4 al 41%. Un dato significativo che spiega come mai io, che sto scrivendo questo blog, l’italiano di cento anni nel futuro rispetto al mio bisnonno Giulio, abbia percorso buona parte dell’ascensore sociale dal settore primario, l’agricoltura e analfabetismo al terziario avanzato, con laurea.

La scalata all’ascensore sociale è chiaramente spiegata da ISTAT, che sottolinea come nel 1861 il 70% dei lavoratori era impiegato nell’agricoltura, un dato in leggera flessione al 50% negli anni a ridosso della stesura dell’atto e in deciso cambiamento nel secondo dopoguerra. Sempre secondo ISTAT, la chiave è stato lo sviluppo industriale del paese che ha spostato la bilancia dell’occupazione dall’agricoltura, all’industria e, infine ai servizi. Nel 1981, a 120 anni dall’unità d’italia, solo l’11% dei lavoratori è occupato nel settore agricolo, mentre il terziario avanzato, i servizi (gli impiegati), sfiorano il 50%, contro il 40% scarso di operai.

E se il lavoratore “migra” attraverso i settori lavorativi, migra anche fisicamente: la casa acquistata cento anni fa “al paese” oggi è diventata una seconda casa, e tutta la famiglia si è trasferita in città, proprio negli anni successivi al secondo dopoguerra.

Ma, questa, è un’altra storia.

-> Vai al rapporto Banca d’Italia, “I prezzi delle abitazioni in Italia 1927-2012”

-> Vai all’ “Italia in Cifre” , a cura di Istat

Foto di copertina: cento anni di storia in due istantanee di famiglia a confronto (sopra: i bisnonni materni da parte di madre, 1915 ca, sotto: mio figlio, mia moglie ed io, nel  2018)

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2 risposte a Un atto di compravendita racconta cento anni e quattro generazioni di Storia d’Italia

  1. Maria Antonietta Missori scrive:

    Grazie Carlo per aver condiviso un pezzo della nostra storia, attualizzandolo per quanto riguarda l’analfabetismo, il diritto di voto e il PIL. “La storia siamo noi” con le nostre difficoltà, il nostro modo di pensare e di sentire, le nostre scelte che si ripercuotono sulle generazioni successive. Mi sono molto commossa quando ho letto per la prima volta l’Atto di Compravendita che tu citi. Le parole “analfabeta” e “possidenti” , riferite rispettivamente a mio nonno e ai testimoni, mi hanno colpita nel profondo dell’anima. La testimonianza di questi ultimi è stata indispensabile affinchè l’Atto di Compravendita avesse valore legale in quanto nonno era analfabeta. L’analfabetismo in quegli anni era molto diffuso nei piccoli centri e nelle aree rurali, nonostante vigesse l’obbligo scolastico fino alle elementari. Mio padre e i miei zii paterni hanno conseguito la sola licenza elementare. Per te e per me è stato diverso. Abbiamo raggiunto un migliore grado di istruzione e di cultura. La nostra strada è stata spianata dai sacrifici di chi ci ha preceduti. Loro non si sono arresi difronte alle avversità della vita, hanno trovato il coraggio di ricominciare anche quando tutto sembrava perduto.

    • Franco scrive:

      Storia comune a molti; ma solo con pochi capelli in testa e tutti bianchi abbiamo la cognozione e la riconoscenza verso i nostri avi e genitori. Una bella storia.

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