Il Viaggio dei Dannati

Sono trascorsi esattamente ottant’anni dall’epopea del transatlantico Saint Louis. La storia, secondo Karl Marx, dovrebbe a ripetersi la prima volta in tragedia e la seconda in farsa. Ma quella della Sanit Louis è una storia drammaticamente attuale, che dimostra che, quando si ha a che fare con i respingimenti e con le vite umane, Marx sbagliava: la storia si ripete sempre in tragedia.

Il 13 maggio 1939 la Saint Louis salpava da Amburgo alla volta di Cuba, capitanata dal Comandante Gustav Schröder, con oltre novecento rifugiati ebrei tedeschi, in fuga dalla persecuzione nazista.

Il Comandante Schröder, anch’egli tedesco, non esitò minimamente a mettere a disposizione dei passeggeri tutte le strutture del transatlantico: dalla cucina alla piscina, al servizio di baby-sitting. Come tutte le tragedie della storia, la buona volontà di pochi non è mai sufficiente a fare da contraltare alla impietosa disposizione d’animo dei molti e, dopo un primo respingimento a Cuba, un secondo respingimento negli Stati Uniti, e un terzo respingimento in Canada, il Comandante Schröder non poté far altro che fare rotta di nuovo verso l’Europa, in condizioni drammatiche, proprio verso le fauci del lupo. Una serie di eventi drammatici che sono passati alla storia come “Il Viaggio dei Dannati” e che, nonostante siano stati ampiamente rappresentati e raccontati in film, opere teatrali e fiction per la TV, giacciono completamente dimenticati dai più.

Una storia mirabile di pietà, coraggio, disperazione e grande determinazione che, oggi, è ancora attuale per comprendere appieno cosa vuol dire respingere vite in fuga dal proprio paese, in mare, mettendole in pericolo e, in ogni caso, imponendo loro sofferenze inenarrabili.

Decisamente non bastò la Buona Volontà del Comandante Schröder – non dimentichiamolo, tedesco al comando di una nave tedesca – che fece di tutto per rendere non solo il viaggio sicuro, ma anche piacevole, garantendo l’uso di tutte le strutture della nave: piscina, concerti, sale da cena, persino coprendo il busto di Hitler con un panno. Tanto che testimonianze dei passeggeri riportavano il viaggio come una “vacanza in crociera verso la libertà”.

Peccato non avessero fatto i conti con l’incredibile cinismo umano: salpati il 13 maggio 1939, arrivarono a Cuba dopo due settimane. Ma fu loro negato l’attracco al porto di Havana, perché il governo cubano rifiutò di accogliere i rifugiati. Durante i cinque giorni di attesa in rada fu concesso lo sbarco di 28 passeggeri, di cui 27 in regola con visti e permessi più uno, che tentò il suicidio piuttosto che affrontare la prospettiva dei campi di concentramento in germania. Ebbe salva la vita perché fu sbarcato e ricoverato in ospedale alla Havana.

Incassato il drammatico diniego, con 907 rifugiati ancora a bordo, la Saint Louis fece rotta verso gli Stati Uniti. Ma, di nuovo, il segretario di stato Cordell Hull fece pressioni sull’allora presidente Roosevelt affinché i profughi ebrei fossero rigettati. Il Capitano Schröder tentò allora una manovra azzardata, muovendosi lunghe le coste della Florida per far sbarcare di volta in votla i profughi, ma i guardacoste americani impedirono questa manovra con pericolose tecniche di affiancamento in mare.

Fallito il tentativo negli Stati Uniti, una parte di elite intellettuale ed ecclesiastica Canadese tentò di persuadere ad accogliere i rifugiati l’allora Primo Ministro del Canada William Lyon Mackenzie King. Ma, di nuovo, la forte ostilità verso gli ebrei che dominava nel mondo vinse, grazie alla ottusa puntigliosità del direttore dell’Ufficio Immigrazione canadese Frederick Blair. Arrivata in Canada in soli due giorni di navigazione dagli Stati Uniti, il 9 giugno la nave Saint Louis dovette salpare di nuovo.

Ma un nuovo pericolo si profilava all’orizzonte: le condizioni a bordo. Ovviamente, dopo aver attraversato l’oceano atlantico e non aver potuto attraccare in alcun porto, le risorse e le condizioni igienico-sanitarie erano irrimediabilmente deteriorate. Tanto che tra le opzioni valutate dal Comandante Schröder c’era quella di provocare un incidente incagliando la nave per costringere ai soccorsi. Opzione ovviamente troppo pericolosa e, quindi, impraticabile: sta di fatto che la nave dovette affrontare, in condizioni davvero critiche, di nuovo il viaggio verso l’Europa, attraversando per la seconda volta in un mese l’Atlantico.

Dopo altre due settimane di navigazione arrivò ad Anversa, il 17 giugno 1939, dove grazie una lunga e complessa negoziazione i passeggeri vennero sbarcati a tranche e smistati rispettivamente in Inghilterra, Francia, Belgio e Olanda. Con la successiva occupazione nazista di questi ultimi tre paese, i profughi furono esposti nuovamente a rischio e, disgraziatamente, il nuovo – disperato – tentativo di emigrare fallì per molti di loro: i profughi che trovarono rifugio in Inghilterra furono più fortunati, ma dei 620 costretti a rientrare in Europa ne morirono 254.

Le scuse alla comunità ebraica, per la azione sconsideratamente ostile di Frederick Blair, responsabile dell’ufficio immigrazione canadese, sono arrivate solamente 61 anni dopo i fatti, nel 2000, dal nipote. Come sempre, solo il tempo rende giustizia agli orrori che, nel momento in cui accadono, passano semplicemente inosservati: nell’immediato dopoguerra, il Comandante Schröder fu insignito dell’Ordine al Merito tedesco e annoverato, nel 1993, tra i Giusti come Oskar Schindler, tra coloro che sanno riconoscere l’orrore quando sta accadendo.

E rinunciano a divenirne complici.

 

Immagini: Getty Images

Share
Questa voce è stata pubblicata in Uomini e Donne e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *