Gioco da Tavolo? Non solo Nerd!

Per stereotipi e pregiudizi questo primo ventennio del 2000 è veramente un periodo d’oro. Grazie al solido contributo dei social network e dei media convenzionali, ogni termine o etichetta è una buona occasione  per classificare, spesso semplificando, temi complessi e farli diventare, così, fenomeni di mercato.

I lettori assidui di LidiMatematici sanno quanto questo blog sia attivo sui temi della divulgazione scientifica mediata dai giochi da tavolo e uno degli aspetti più interessanti di questi è che vengono invariabilmente associati dai media convenzionali all’immagine di giocatori isolati e chiusi tra le quattro mura domestiche con le proprie miniature e/o giochi preferiti.

Secondo l’immaginario collettivo il giocatore-tipo è il classico nerd, rinchiuso in casa, che ben rifugge avventure o attività pericolose. Una classificazione estremamente comoda per le testate giornalistiche: ad esempio Il Corriere, un paio di anni, definiva Lucca Comics & Games cone “l’evento nerd più importante dell’anno”, con ampia discettazione su fumetti e giochi da tavolo. Nel frattempo La Stampa dedicava all’immagine del nerd il consueto ritratto di ragazzo con gli occhiali e sfondo di libri a corredo.

Alcune testate correggno il tiro: così Repubblica commentava Modena Play del 2016

“il gioco di società non piace più solo ai “nerd”, ma richiama le famiglie, i teenager e gli adulti”.

Anche se il dizionario Garzanti non lascia dubbio sul significato della parola nerd:

“nell’uso giovanile, giovane dall’aspetto goffo e insignificante, che sublima la propria condizione con una grande abilità e passione per computer e videogame | studente che ottiene buoni risultati grazie all’ostinata applicazione, ma non brilla per intelligenza; secchione”

nella cultura di massa negli ultimi anni, grazie anche e soprattutto ai grandi colossi dell’informatica, della moda e del retail internazionali (Microsoft, Google, Apple, Amazon per dirne alcuni), il termine “nerd” ha assunto una connotazione diversa, grazie al fatto che i più ricchi del pianeta rispondono perfettamente alla ideologia del nerd classico.

Essendo attivo sul fronte dei giochi da tavolo, questo blog si è posto l’obiettivo di andare a sondare il terreno proprio in questa comunità, andando a cercare coloro che sono
attivi in ambiti che nell’immaginario collettivo sono considerati estremi (volo, apnea, sub, arti marziali, contesti operativi e sportivi di alto livello, etc) con l’intento di sfatare il mito della classificazione “nerdy” del giocatore da tavolo tipo, decisamente “razzista” in entrambe i sensi, infatti se da un lato il tipico giocatore da tavolo deve essere per forza un nerd geniale, l’altra faccia del pregiudizio è che chi pratica attività considerate impegnative debba esere necessariamente una persona con doti mentali non adatte ai giochi da tavolo.

Dalla discussione, animata dalle inevitabili polemiche per un tema così sentito, sono emersi appassionati di gioco da tavolo decisamente lontani dallo stereotipo del nerd che, nel rammentare le proprie attività “estreme”, contemporaneamente reclamano anche con deciso orgoglio il proprio essere nerd. Ne è emerso un quadro interessantissimo che vede pugili, subacquei, vigili del fuoco, militari operativi, piloti di enduro e di aerei ultraleggeri, alpinisti, atleti di canyoning, di downhill, cinture nere e istruttori di arti marziali, trapezisti, schermidori, speleologi, giocatori di rugby, bodybuilders, atleti con importanti risultati alle spalle destreggiarsi con grande passione con i giochi da tavolo più disparati.

Di questi, abbiamo selezionato le storie di Vale e Giovanni particolarmente importanti per la collettività in quanto militari operativi.

D: Qual è il tuo impiego operativo e qual è stata la missione più complessa che hai affrontato?

Vale: In passato ho svolto attività nell’Esercito Italiano come fuciliere, ho praticato paracadutismo e sono brevettato come paracadutista civile, ho anche svolto attività di lotta militare e immersioni in apnea e con le bombole. Al momento sono un papà a tempo pieno, uno specialista di informatica per la Guardia di Finanza, ed ogni tanto, quando il mio piccolo dorme, cerco di ritagliare un po’ di spazio al mondo dei giochi da tavolo, mia piccola passione che ormai coltivo da più di 10 anni.

GiovanniSono in servizio effettivo in una unità specializzata di una Forza di Polizia, preposta a determinati tipi di controlli ed accertamenti. Comando questa unità e quasi ogni giorno sono sul territorio in pattuglia, di rado rimango in ufficio. Essendo un’unità operativa piccola le attività sono attività che definisco “spot”, si concludono nell’arco del giorno nel quale sono state organizzate. Non c’è nulla di particolarmente “complicato”. Tuttavia ogni accertamento ed ogni accesso presso un qualsiasi locale può complicarsi in modo randomico, ma questa è una cosa comune in tutti i contesti di polizia. L’operatore cerca di minimizzare il fattore casuale con un’analisi preventiva. Quello che è stato più complesso per me, potrebbe risultare del tutto poco scenografico nell’immaginario comune. Non riesco a fare una classifica né mi trovo a mio agio nel raccontare qualcosa del genere. C’è poi tutto il fattore di responsabilità, snervante e stressante ma lasciamo perdere.

D: E come è avvenuto l’incontro con il Gioco da Tavolo?

Vale: L’incontro col gioco da tavolo è avvenuto principalmente all’interno delle mura di una caserma. Mi ritrovavo in camerata con altri commilitoni miei coetanei (22- 24 anni circa), e dato che non potevamo utilizzare strumenti tecnologici e volevamo cercare di condividere il nostro tempo insieme, un pomeriggio uno dei miei colleghi portò una copia di Bang! in camerata e decidemmo di trascorrere qualche oretta giocandolo sul materasso del mio letto. Fu la svolta per me. Da allora iniziai ed iniziammo ad allargare insieme le nostre conoscenze all’interno di questo ambito e iniziammo a prendere altri titoli ed altre scatole, cercando sempre di ricordarci che avevamo poco tempo ma soprattutto poco spazio a nostra disposizione, in quanto costantemente impegnati in attività addestrative sia dentro che fuori le nostre 4 mura nazionali. Alcune di quelle “scatole” hanno perfino fatto il giro del mondo e sono venute in missione con noi, cercando di aiutarci a smorzare le difficoltà che insorgono quando ti trovi fuori casa, in un ambiente chiuso e spesso con poche “alternative”, alternando giornate fisicamente intense a serate di svago mentale. Il gioco era diventato una valvola di sfogo ed allo stesso tempo un punto di incontro.

GiovanniRicordo, ero piccolo quando uscì Hero Quest che comprai (anzi, mi feci regalare dai miei genitori), era una specie di reliquia, non ci ho nemmeno mai giocato (lo osservavo e ammiravo). Mentre giocavo sovente a giochi da tavolo più canonici dei quali amo ricordare Brivido e l’Isola di Fuoco (ci giocavo con mia sorella). C’è stato poi un periodo che, per mancanza di amici appassionati e mancanza di possibilità, ho abbandonato il settore per riprenderlo negli ultimi 5 anni dove ritengo ci sia stata una crescita rilevante di questo mondo (grazie anche allo sviluppo del web e dei social). Non a caso oggi è molto più facile organizzare una serata. Il riavvicinamento ai giochi da tavolo è avvenuto grazie ad un caro amico che si è appassionato a questo mondo che io avevo tralasciato. La scintilla si è subito riaccesa. Il primo gioco di concezione “moderna” che ho acquistato è stato Carcassonne. Dopo Carcassonne, Puerto Rico, poi Agricola e da lì poi la collezione è aumentata (ultimi acquisti Forbidden Stars e Polis: Fight for the Hegemony).

D: Insomma, quanto di più lontano dall’immaginario collettivo del nerd. Ritieni che la classificazione inerente a questo termina abbia senso, alla luce della tua esperienza personale?

Vale: E’ sicuramente una classificazione che ormai ha fatto il suo tempo, e sicuramente l’attività ludica non è da attribuire solo ad una piccola cerchia di appassionati. I numeri che vengono registrati nelle più importanti fiere del settore parlano chiaro, ed è evidente che il mondo dei giochi in scatola può abbracciare diversi tipi di pubblico: occasionale, familiare, per giocatori assidui, per piccoli e grandi numeri di giocatori.
Il gioco spesso può rappresentare anche la cultura di un popolo, così come chi lo pratica può essere serenamente una persona che può svolgere attività totalmente diverse da quello che può essere l’immaginario collettivo di un “nerd”. Spesso mi è capitato di sedermi al tavolo con avvocati, ingegneri, architetti, ma anche militari, personal trainer, pensionati e insegnanti. Il gioco può diventare uno stimolo per migliorare la propria intelligenza e allargare la propria cultura, accomunando persone diverse allo stesso tavolo, e fornendo gli strumenti giusti per instaurare un dialogo tra persone che magari non avrebbero nessun pretesto per farlo. E spesso, quando il gioco finisce, ciò che resta è un bel sorriso e un bel ricordo delle persone con cui hai condiviso quel breve lasso di tempo.

Giovanninon ha senso infatti. Se per nerd intendiamo la figura stereotipata che ha assunto determinate caratteristiche nell’immaginario comune, assume ancor meno senso da un punto di vista dell’attitudine, più che della dinamicità del lavoro. La mia vita professionale è fatta di un’intera settimana ad avere a che fare con ogni tipo di persona, per strada, a discutere ogni giorno sotto il sole e sotto la pioggia. Sono sul campo e non mi risparmio, chi è con me mi rispetta e si fida, ritengo di aver raggiunto rilevanti traguardi professionali. Non ci sarei riuscito se avessi avuto un carattere remissivo, se non avessi saputo impormi, se non fossi riuscito a farmi seguire. A volte ripensandoci non so nemmeno io come ci sia riuscito. Credo che questo sia lontano dallo stereotipo del nerd. E con questo non voglio dire che io sia meglio di una persona inquadrata nel “fenotipo nerd”. Ognuno è fatto a modo suo. E’ certo che oramai il mondo dei boardgame moderni non può essere unicamente associato alla galassia nerd.

D: Ti è mai capitato di applicare in un contesto operativo elementi presi dal mondo dei Giochi da Tavolo?

Vale: Ancora sinceramente non mi è successo, ma recentemente, per cercare di spiegare ai miei discenti concetti ardui come la crittografia, ho dato loro degli esercizi dove hanno dovuto utilizzare l’alfabeto farfallino e il cifrario di Cesare, ed ho quindi cercato di fare quello che in gergo viene chiamato “gamification”, per poi spiegargli ed avvicinarli a concetti più elaborati e complessi come quello della “blockchain” e della “firma digitale”.
Il gioco in questo caso non è stato sicuramente un fine, ma un mezzo per cercare di spiegare loro elementi che utilizziamo tutti i giorni in maniera semplice e chiara nel mondo digitale, cercando non solo di fornirgli un mero aspetto teorico, ma cercando anche di dare alle mie lezioni un taglio pratico per imprimere meglio gli argomenti trattati.

GiovanniOgni volta che organizzo servizi, turni, ecc la mia mente vola sempre di Agricola (e tanti gestionali annessi e connessi), non che mi abbia insegnato, ma i concetti sono quelli e soprattutto quello principale della coperta dannatamente corta con quell’amara considerazione che ti porta a pensare che non sei riuscito a fare in pieno quanto avevi programmato, se solo avessi avuto quel turno in più! E’ tutta una questione di ottimizzazione di scelte dopotutto (ma non lo è, ad ampio respiro, in toto la nostra vita?).

 

 

Immagine di apertura: (C) La Stampa.

-> Vai ad una precedente intervista di Vale

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