Finché la barca va, lasciala andare ? Non proprio.

Il naufragio di Cutro, a Crotone, è stata indubbiamente una tragedia di grandi proporzioni,   che ha veramente lasciato il segno nell’opinione pubblica. Sappiamo la storia: il 28 febbraio un caicco carico di migranti provenienti dalla Turchia urta uno scoglio e si frantuma, il conto delle vittime è ad oggi in crescita, tra cui – purtroppo –  un numero di bambini che desideriamo non contare .

A fare da sfondo alla tragicità della vicenda, l’assurdo rimpallo di responsabilità del Ministero dell’Interno, e l’incredibile assenza di attività di soccorso in mare da parte della Guardia Costiera. Quella tragica notte, pur se l’imbarcazione era stata avvistata con larghissimo anticipo, a muoversi fu solamente la Guardia di Finanza. Che, proprio per le condizioni del mare che poi hanno portato al naufragio, dovette rientrare.

Emesso proprio all’inizio di quest’anno, il l del decreto legge n. 1/2023, che va ad associarsi al  decreto n. 130/2020, aveva posto addizionali limitazioni al soccorso in mare, con le prevedibili conseguenze infauste che abbiamo disgraziatamente osservato.

Ma, al di la delle considerazioni soggettiva, è bene fare il punto su cosa preveda la legislazione vigente. La legge internazionale sul soccorso e ricerca in mare è regolata principalmente dalla Convenzione internazionale sulle ricerche e il soccorso marittimo (SAR – Search and Rescue) del 1979, che stabilisce le responsabilità degli Stati costieri e degli equipaggi delle navi in caso di emergenza in mare.

In base a questa convenzione, ogni stato costiero ha l’obbligo di fornire il miglior soccorso possibile in caso di emergenza in mare, indipendentemente dalla nazionalità dell’imbarcazione in difficoltà. La legge prevede espressamente che tutti gli equipaggi delle navi hanno il dovere di prestare soccorso a qualsiasi altra nave o persona in mare in difficoltà, fintanto che ciò non metta in pericolo la sicurezza della propria nave o dell’equipaggio.

Nel caso in cui una barca sia in difficoltà anche se non chiede aiuto, l’equipaggio di altre navi presenti nella zona sono comunque tenuti a prestare soccorso, proprio perché il mancato intervento può causare una situazione di emergenza più grave.

In generale, l’obiettivo principale della legge internazionale sul soccorso e ricerca in mare è garantire la sicurezza e la vita degli individui in mare, e tutte le navi e gli stati costieri sono tenuti a fare il possibile per assicurare questo obiettivo.

Secondo il ministro Piantedosi, la nave non ha richiesto espressamente il soccorso, ma cosa dice la legislazione in materia di azione di soccorso anche in assenza di richiesta esplicita di soccorso ?

Il principio dell’obbligo di prestare soccorso anche in assenza di richiesta esplicita è sancito dall’Art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS – United Nations Convention on the Law of the Sea), che stabilisce che:

Ogni Stato adotta le misure necessarie per assicurare che le navi battenti la sua bandiera e le persone impiegate su di esse prestino assistenza a qualsiasi persona trovata in pericolo in mare. In caso di pericolo per la vita umana, la persona interessata ha il diritto di essere soccorsa, e ogni Stato adotta le misure necessarie per prevedere che le navi battenti la sua bandiera possano effettuare soccorsi senza alcuna discriminazione per motivi di nazionalità, bandiera, tipo o proprietà della nave o altra simile circostanza“.

Questo principio è stato inoltre ribadito nella convenzione SAR, che stabilisce l’obbligo di ogni Stato di coordinare e condurre operazioni di ricerca e salvataggio per garantire la sicurezza delle vite umane in mare, indipendentemente dalla nazionalità o dal tipo di nave coinvolta.

Ma cosa accadrebbe nel caso in cui uno stato non ottemperi al soccorso pur se la nave non lo ha richiesto e si verifica un naufragio con gravi perdite di vite umane?

La legge internazionale prevede sanzioni per gli stati che non rispettano l’obbligo di prestare soccorso in mare. In particolare, l’Art.94 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982 stabilisce che:

Ogni Stato adotta le misure necessarie per assicurare che le navi battenti la sua bandiera e le persone impiegate su di esse prestino assistenza a qualsiasi persona trovata in pericolo in mare. Ogni Stato adotta, inoltre, le misure necessarie per perseguire e sanzionare la mancata osservanza dell’obbligo di prestare soccorso, anche in caso di naufragio o altra emergenza in mare“.

Di nuovo, anche la già citata Convenzione SAR prevede che gli stati che non rispettano le disposizioni della convenzione possono essere soggetti a sanzioni da parte degli altri stati e delle organizzazioni internazionali.

Se un naufragio con gravi perdite di vite umane si verifica a causa della mancata osservanza dell’obbligo di prestare soccorso, gli stati responsabili possono essere oggetto di indagini e perseguimenti giudiziari da parte delle autorità competenti, sia a livello nazionale che internazionale.

Il diritto internazionale parla chiaro: anche nel caso in cui uno stato abbia promulgato delle leggi contro la immigrazione clandestina, infatti la promulgazione di leggi contro l’immigrazione clandestina non può essere utilizzata come giustificazione per violare l’obbligo di prestare soccorso in mare. Proprio in virtù degli articoli visti precedentemente, tale obbligo è un principio fondamentale del diritto internazionale del mare, in base appunto alla Convenzione delle Nazioni Unite UNCLOS e alla Convenzione internazionale sulla SAR.

Secondo entrmabe le convenzioni, gli stati sono tenuti obbligatoriamente a  coordinare e condurre operazioni di ricerca e salvataggio per garantire la sicurezza delle vite umane in mare, indipendentemente dalla nazionalità o dallo status migratorio delle persone coinvolte. L’obbligo di prestare soccorso è una priorità rispetto ad altre considerazioni, come l’immigrazione clandestina. In pratica, gli stati non possono rifiutarsi di prestare soccorso a una nave in pericolo adducendo come motivazione l’immigrazione clandestina.

Lo stato che non rispetta l’obbligo di prestare soccorso in mare e che causa la morte di migranti può essere oggetto di sanzioni da parte degli altri stati e delle organizzazioni internazionali, che possono variare a seconda delle circostanze specifiche del caso e del grado di responsabilità dello stato.

Le conseguenze dal punto di vista del diritto internazionale sono tutt’altro che lievi: se venisse dimostrato che lo stato ha intenzionalmente ignorato le richieste di soccorso o ha impedito la prestazione di soccorso da parte di altre navi, potrebbe essere accusato di negligenza o addirittura di omicidio. In questi casi, gli altri stati membri possono chiedere una valutazione del comportamento dello stato in questione da parte della Corte internazionale di giustizia o di altre organizzazioni internazionali.

Al di là degli aspetti giuridici, la mancata osservanza dell’obbligo di prestare soccorso in mare costituisce una grave violazione dei diritti umani e del valore della vita umana. Le persone che cercano di attraversare il mare per raggiungere un luogo sicuro sono spesso in situazioni di estrema vulnerabilità e, come abbiamo purtroppo visto con il naufragio di Cutro e con l’ulteriore naufragio occorso durante la stesura di questo articolo, la mancata prestazione di soccorso porta a conseguenze tragiche.

-> Vai all convenzione delle Nazioni Unite

 

Foto di apertura: Ansa

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