Il nuovo codice degli appalti: semplificazione o assist per i corrotti?

La notizia di questa settimana che ha trovato grande rilievo, e suscitato qualche polemica, è relativa alla approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del nuovo codice degli appalti, noto come “Codice Salvini”, che mira a semplificare le procedure, ridurre la burocrazia e favorire la liberalizzazione nel settore. Ufficialmente, il nuovo codice prevede una maggiore digitalizzazione delle procedure e la creazione di una banca dati per le aziende coinvolte, al fine di evitare la presentazione ripetitiva di documenti.

Ma andiamo nel dettaglio, perché il nuovo codice introduce supposte semplificazioni che, invece, sono veri e propri grimaldelli per smontare il processo attuale che prevede controlli maggiori su tutta la catena.

La principale novità del nuovo codice è la liberalizzazione del sottosoglia, che permette di affidare direttamente gli appalti fino a 5,3 milioni di euro. Gli appalti fino a 150.000 euro possono essere affidati direttamente, mentre quelli fino a 1 milione di euro possono essere affidati tramite procedura negoziata senza bando, invitando fino a 5 imprese. La gara vera e propria rimane una possibilità residuale per i lavori più importanti.

Il nuovo codice prevede anche un taglio dei tempi per gli appalti fino a 500.000 euro, consentendo alle piccole stazioni appaltanti di procedere direttamente senza passare per le stazioni appaltanti qualificate.

Interessante la trovata della paura della firma per i funzionari pubblici e dirigenti: il nuovo codice permette la firma di contratti di appalto integrato e subappalti a cascata senza limiti. Sebbene preveda tutele addizionali per la annosa questione dell’illecito professionale, svincola completamente dalla responsabilità di controllo sulle catene di subappalti. Va da sé che un maggior numero di subappalti aumenta il rischio di incidenti sul lavoro per via del fatto che ogni subappaltatore ha margini sempre più stretti e, quindi, è costretto ad economizzare. C’è da aggiungere che ogni subappaltatore ha le proprie procedure di sicurezza e di formazione, non sempre allineate con quelle degli altri subappaltatori o del committente. Da qui il fatto che un maggiore numero di subappalti rende più difficile coordinare le attività sul cantiere, aumentando il rischio di incidenti (collisioni, sovrapposizioni nella esecuzione delle attività, etc).

Altrettanto furbesca è la intriduzione della figura del dissenso costruttivo, che trasferisce l’onere della decisione su chi si oppone a una scelta, obbligandolo a motivare il suo dissenso in modo “costruttivo”, appunto. In altri termini, se un ente o una figura coinvolta si oppone all’affidamento, ad esempio per pregressi fenomeni di corruzione, malversazione o altro, sta a chi fa opposizione dimostrare che ciò sia vero.

Già la sola liberalizzazione del sottosoglia è una vera e prorpia manna, che consente di affidare importi di lavori enormi con assoluta discrezione. Prima del nuovo decreto, i limiti di importo per l’affidamento diretto di servizi nel settore pubblico senza gara dipendevano, in caso di affidamento senza procedura di gara, dal tipo di servizio e della normativa applicabile.

In generale, la normativa italiana prevedeva l’affidamento diretto di servizi di importo inferiore a 40.000 euro (IVA esclusa) per i servizi di natura prevalente intellettuale e a 150.000 euro (IVA esclusa) per i servizi di natura prevalentemente materiale.

Va detto, però, che già in passato erano previste eccezioni, con specifiche disposizioni per alcuni settori e categorie di servizi, come ad esempio nel settore dei servizi sociali e delle forniture di beni e servizi di rilevanza strategica per la sicurezza nazionale, caso in cui limiti sono diversi e più elevati.

In Europa, i limiti di importo per l’affidamento diretto di servizi nel settore pubblico senza gara variano a seconda del paese e della normativa applicabile, in ogni caso ben lontani dalle soglie liberalizzate proposte dal nuovo decreto.

In Francia, il limite per l’affidamento diretto di servizi è di 90.000 euro per i servizi di natura prevalente intellettuale e di 144.000 euro per i servizi di natura prevalentemente materiale. In Germania, il limite è di 100.000 euro per i servizi di natura prevalente intellettuale e di 206.000 euro per i servizi di natura prevalentemente materiale. In Spagna il limite per l’affidamento diretto di servizi è di 15.000 euro per le amministrazioni locali e di 50.000 euro per le amministrazioni regionali e centrali. In Belgio, il limite è di 30.000 euro per le amministrazioni locali e di 85.000 euro per le altre amministrazioni pubbliche. In Finlandia, il limite per l’affidamento diretto di servizi è di 30.000 euro per le amministrazioni locali e di 100.000 euro per le altre amministrazioni pubbliche.

Nei paesi più avanzati (vale a dire con un minor tasso di corruzione e permeabilità delle organizzazioni criminali) non esiste invece un limite preciso per l’affidamento diretto di servizi nel settore pubblico senza gara: Regno Unito e Svezia, per citarne due. In questi paesi le amministrazioni pubbliche garantiscono la massima trasparenza ed adottano procedure competitive, pubbliche, paritetiche e non discriminatorie per l’affidamento dei servizi.

Il presidente di Anac (Autorità Nazionale Anticorruzione), Giuseppe Busia, ha criticato il nuovo codice degli appalti approvato in Consiglio dei ministri, sostenendo che le nuove norme potrebbero limitare la trasparenza e aumentare il rischio di corruzione durante l’assegnazione dei lavori. Affermazione ovviamente osteggiata dalla Lega, che ha fatto quadrato intorno al nuovo codice sostenendo che “i sindaci non sono tutti corrotti”.

Ora, pur non occupandosi specificatamente dei sindaci, l’Indice di Percezione della Corruzione 2022, pubblicato da Transparency International, che misura il livello di corruzione nel settore pubblico di ciascun paese e assegna un punteggio da 0 (altamente corrotto) a 100 (molto trasparente e con bassa corruzione) è per noi di 56 su 100, in miglioramento rispetto agli anni precedenti ma ancora al di sotto della media europea.
Collocandolo in prospettiva di ranking mondiale l’Italia è al 47º posto su 180 paesi, inferiore a quello del Botswana, mentre siamo il fanalino di coda in Europa: 21º posto su 27 (nella mappa in rosso i paesi più corrotti e in giallo i meno).

-> Vai alla intervista di Busia su Repubblica.it
-> Vai a Trasparency International

 

Foto di apertura: Nanopress.it

Share
Questa voce è stata pubblicata in Teoria e Pratica e contrassegnata con , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *