Le madri lasciano segni indelebili

Edito da KOINÈ – Centro Interdisciplinare di Psicologia e Scienze dell’Educazione, Le madri lasciano segni indelebili propone uno sguardo al rapporto genitori-figli dal punto di vista della madre. Si sa, la Mamma è sempre la Mamma, ma spesso dimentichiamo – ci ricorda l’autore il Dott. Claudio Gerbino – che la mamma a sua volta è stata a suo tempo figlia. E che, per questo motivo, sarebbe necessario un viaggio a ritroso nel tempo per comprendere la stratificazione di comportamenti, e di condizionamenti che si innestano nel rapporto di ogni madre con i propri figli.

Il libro fa il paio con Padre buono – Padre cattivo, di Horst Petri, sempre edito da Koiné, ed esplora il territorio definito da Melanie Klein di madre buona – madre cattiva o meglio della sua sublimazione di “madre sufficientemente buona”. Partendo dalla figura quasi mitologica di Dea Creatrice dipinta ne “La Madre” di Ungaretti, il Dott. Gerbino conduce il lettore per mano attraverso una analisi obiettiva, supportata da dati e ricerche.

L’opera si sprigiona da un assunto di base fondamentale: per comprendere una madre occorre capire il suo vissuto di figlia perché è sulla base di questa esperienza che lei, a sua volta, costruirà la relazione con i propri figli. L’autore prosegue quindi con un approccio rigorosamente scientifico, a partire dal lavoro di Walter TomanThe ‘duplication Theorem’ of social relationship as tested in the general population“ (Il Teorema della Duplicazione) ove, dati scientifici alla mano, si dimostra che le nuove relazioni stabilite con persone all’esterno della famiglia seguono il modello delle relazioni stabilite ed apprese nel contesto famigliare, duplicandole a tutti gli effetti.

Le bambine prima, adolescenti, ragazze, donne e madri poi trasporteranno lungo l’arco del proprio percorso di crescita individuale proprio i comportamenti appresi all’interno della famiglia e, quindi, tenderanno a replicarli. In Terapia Familiare e Struttura della Famiglia (Ed. Koiné), lo stesso Toman spiega l’importanza del ruolo di figlio/figlia rispetto alle tendenze comportamentali e di come questo sia determinato in larga parte dalla posizione di nascita all’interno della famiglia (ad esempio figlio unico, primo maschio di due femmine e così via) e della relazione che questa posizione di nascita ha con quelle dei due genitori, a loro volta figli. In questi anni le teorie di Toman stanno vivendo una nuova ondata di popolarità sotto il nome di originario Costellazione Familiare, ma applicate non sempre in modo conforme alla pubblicazione originale dell’autore.

Ed è proprio nell’ambito delle ricerche sulla Costellazione Familiare, pubblicate in vari contesti scientifici, che emerge con prepotenza il ruolo della madre come “educatrice alla femminilità”, tipico delle società “latine”, come la nostra. Le ricerche dimostrano che i figli interiorizzano in modo piuttosto forte queste tendenza culturale e soprattutto rapido: entro i primi anni di vita. I dati mostrano una forte correlazione nelle risposte ai test somministrati nella attesa da parte delle figlie più piccole del sostegno affettivo del padre e che tale correlazione è maggiore di quella dei maschi. In ogni caso, i figli (maschi o femmine che siano) si aspettano sostegno affettivo e protezione da parte della madre.

Ferme restando differenze specifiche a seconda della composizione della famiglia (ad es. figli tutti dello stesso sesso), si delinea in ogni caso un rapporto tra padre e figli e madre e figli piuttosto netto: il padre svolge un ruolo normativo e di controllo (stabilisce le regole e vigila perché vengano rispettate) e la madre di sostegno affettivo e cura, attraverso cui – però – il padre esercita remotamente il proprio potere di controllo. Questa funzione di controllo è spesso più intensa nei confronti delle figlie femmine, un aspetto ampiamente confermato dalle interviste somminsitrate. E’ principalmente nei riguardi delle femmine che viene esercitato il controllo perché queste vengono percepite come soggetti deboli, soprattutto in riferimento alla propria sessualità.

E’ interessante notare, commenta il Dott. Gerbino, che il tempo e la evoluzione sociale non hanno mutato questo atteggiamento da parte dei genitori, ancora oggi. Il testo, dal punto di vista della analisi della costellazione familiare, è una vera e propria miniera, e dedica a questo aspetto un ampio capitolo corredato da dati sperimentali.

L’autore si interroga quindi sul processo, lungo e travagliato, che ha condotto la donna alla consapevolezza di essere tale. Per rispondere a questa esigenza è necessario il supporto della antropologia culturale muovendo i primi passi proprio dal lavoro fondante della antropologa Margaret MeadMaschio o Femmina”, che illustra il ruolo di queste due figure nelle varie società. Ne emerge un quadro di forte identificazione della donna in quanto madre e, di contro, una svilizzazione culturale – per così dire – delle donne che non possono o non vogliono essere madri. Inoltre è la natura della stessa cultura che pone la figura della donna in quanto alternativa, diversa dal maschio e, spesso, contrapposta ad esso: non complementare, come ci si auspicherebbe. Di qui, il lungo e doloroso percorso che ogni donna è chiamata ad affrontare per guadagnare la consapevolezza di essere, appunto, donna, indipendentemente dal ruolo di contrapposizione al maschio o dal suo essere madre. Un percorso travagliato che passa, tra le altre cose, anche per la rivendicazione della sessualità femminile cui il Dott. Gerbino dedica ampio spazio in un capitolo apposito.

A nostro avviso, al centro dell’opera è il capitolo Quali madri?, in cui l’autore illustra – dati scientifici alla mano – gli effetti della costellazione familiare, del ruolo antropologico atteso dalle madri e del loro vissuto di figlie sul comportamento  verso i propri stessi figli. Un capitolo articolato e dettagliato in cui il lettore è guidato alla comprensione degli effetti a lungo termine della serie di eventi che determinano il contesto familiare e culturale in cui la madre, da figlia, è cresciuta.

Va da sé, in questo quadro, che le madri possano essere “cattive madri” e fare del male, non certo deliberatamente (ma non sempre), ai propri figli. La stratificazione dei comportamenti nelle figlie femmine di madri che hanno, ad esempio, esercitato un controllo troppo stretto ed arbitrario sulle proprie figlie (anche ed attraverso la regia paterna), produce effetti a lungo termine non sempre attenuati da una presunta liberazione dai vincoli del controllo. Il testo porta ampi riferimenti di ragazze che, raggiunta la completa autonomia ed indipendenza, nelle proprie scelte e nelle relazioni con gli altri, anche a fronte di una percepita libertà sessuale, in realtà continunano a vivere la relazione con l’altro con estrema sofferenza.

Alla base di questa sofferenza è innanzitutto una stratificazione di mancanze, dal mancato riconscimento dei bisogni da parte della madre (e del padre), mancato attaccamento spesso manifestato da una chiara indifferenza o da problemi esterni alla famiglia (lunghe malattie, prolungate assenze per lavoro, etc.): un fatto ampiamente documentato e riscontrabile nella letteratura a supporto proposta dal libro.

Sia chiaro, scopo del libro non è porre la madre sul banco degli imputati, piuttosto ricondurre la sua figura innanzitutto ad un percorso di evoluzione tutto umano: con tutta la forza e la debolezza che lo caratterizza. E’ indubbio che le madri lascino segni indelebili, talvolta positivi, talvolta negativi ma, ricorda il Dott. Gerbino, sono proprio le tracce positive a fornire al figlio preziose risorse per la vita.

-> Vai al Centrò Koiné

Share
Questa voce è stata pubblicata in scienze umane, Teoria e Pratica e contrassegnata con , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *